Più che la varietà, quello che realmente incide è la maniera in cui il prodotto viene presentato: ben calibrato e con uniformità di colore dell’epidermide. Le fasi di raccolta e post-raccolta assumono quindi importanza strategica al pari della parte di campo.
È impensabile produrre e conferire il prodotto senza un nesso con la sua destinazione finale. Se davvero la cerasicoltura nazionale si candida ad affermarsi sui mercati esteri, anche con varietà diverse dalla Ferrovia, necessariamente deve esserci un cambiamento di rotta. I parametri di valutazione ed apprezzamento delle ciliegie da parte del consumatore sono in ordine: pezzatura, colore, aspetto dei frutti (lisci, non raggrinziti e con picciolo verde) consistenza della polpa e gusto. Pur se il parametro gustativo è in coda a quelli considerati al momento dell’acquisto, bisognerebbe avviare apposite iniziative e campagne promozionali per valorizzarlo, correlandolo con i concetti di genuità e salubrità del prodotto.
Questa “virtuosità” del prodotto pugliese è invece una risorsa preziosissima che può assumere un valore strategico per l’affermazione sui mercati, facendo leva sulla food security (good & heathy food, baby food, ecc.), aspetto a cui il consumatore è sempre più attento. In questo il Cile può essere parzialmente considerato un esempio positivo. Il paese sudamericano produce circa l’80% rispetto all’Italia, ma con una destinazione del prodotto quasi completamente destinata all’export. Le varietà da coltivare (Bing, Lapins, Sweet Heart, Summer Charm, ecc.) sono scelte in relazione alla loro capacità di resistere al trasporto di 55 giorni circa per raggiungere i mercati più lontani dell’estremo oriente, con un’attenzione massima agli imballaggi e alla fase di conservazione post raccolta. La produzione in campo è modulata in relazione ai calibri richiesti e, di conseguenza, la gestione della pianta è finalizzata al raggiungimento di tali obiettivi.
Tutti aspetti lungi dall’essere immaginati ed attuati nel nostro comparto. È pur vero che la nostra frutticoltura è penalizzata dalla limitazione all’uso di prodotti ammessi per la coltivazione. Che si parli di prodotti che provochino l’interruzione di dormienza delle piante, di fitoregolatori della crescita ad azione brachizzante o che influenzano lo sviluppo dei frutti, in Italia vige una ferma proibizione.
È emblematico il caso dell’anidride solforosa con differenti mezzi di diffusione all’interno degli imballaggi: per la normativa comunitaria essa è considerata un agrofarmaco, mentre in altri contesti, es. Cile, un additivo alimentare! Tuttavia, essi trovano un largo impiego illegale in ampi areali produttivi, esponendo il frutticoltore ai rischi connessi all’utilizzo di prodotti e pratiche vietate che, nel settore agroalimentare poi sviluppano un’eco mediatica fortemente negativa.
Il cerasicoltore è inquadrato in un’ottica d’illegalità che appare fuor di luogo, e noi ben sappiamo come questo può nuocere in maniera irreversibile all’intero settore. Il cerasicoltore pugliese invece è esempio di virtuosità per l’utilizzo di agrofarmaci. Ne beneficiano i frutti, che conservano sapore ed aromi che difficilmente si riscontrano in produzioni realizzate in altri ambienti dove invece si abusa con la chimica.
Autore: Agrimeca Grape and Fruit Consulting srl – Turi (Bari)
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