Pesche e nettarine: rilanciare le colture

La peschicoltura italiana sta vivendo oggi un periodo di crisi, legato principalmente a difficoltà di natura strutturale e il cui superamento richiederà tempo e sacrifici

da Redazione FruitJournal.com

La coltivazione italiana di pesche e nettarine sta vivendo oggi un periodo di crisi, legato principalmente a difficoltà di natura strutturale, il cui superamento richiederà tempo e sacrifici. Il consumo di pesche e nettarine in Europa è in diminuzione, nonostante il continuo aumento del consumo di frutta.

Pesche e nettarine soffrono l’aumentata concorrenza di altra frutta estiva (albicocche, ciliegie, susine, uva da tavola, piccoli frutti, meloni, angurie) e di frutta tropicale e non, anche importata da altri continenti (banane, ananas, kiwi, mele, pere).

L’embargo Russo e la crisi economica mondiale hanno appesantito ulteriormente le produzioni nazionali e l’intero comparto. Pur se i costi di produzione italiani sono inferiori a quelli francesi, la concorrenza della Spagna e, in minor misura della Grecia e della Turchia, è sempre più aggressiva. La qualità è un obiettivo da realizzare e risulta condizione indispensabile per poter competere, ma non è sufficiente per una produzione di massa come è ancora quella italiana. La mancanza di un catasto produttivo nazionale, con dettagliate notizie sugli impianti esistenti (in termini di cultivar e pertanto di tipologia e calendario di maturazione) è un altro punto debole del comparto in quanto rende di fatto impossibile una seria politica di programmazione.

L’aggregazione dei produttori, che pure ha fatto passi avanti importanti, è ancora insufficiente, da un lato, per poter trattare alla pari con la GDO, dall’altro per una seria strategia di programmazione nazionale che è auspicabile possa allargarsi anche in contesti internazionali, sostituendo il concetto di competitività con quello della complementarietà. Per quanto riguarda lo snellimento della burocrazia e l’applicazione di regole comuni, sia per le produzioni comunitarie, sia per quelle di provenienza extra europea, alcuni progressi ci sono stati, ma molto rimane da fare affinché sia applicata la stessa regolamentazione nell’uso dei prodotti antiparassitari alle produzioni comunitarie e a quelle importate. Altra problematica molte volte addotta per giustificare la crisi della peschicoltura, riguarda l’eccessiva disponibilità di cultivar commercializzate e coltivate.

pesche e nettarine

Produzioni mondiali: l’Italia perde la corona.

Ogni anno, infatti, a livello mondiale vengono introdotte oltre 100 nuove varietà, numeri importanti che influenzano l’andamento dei mercati. Tuttavia, l’elevato numero di varietà disponibili e coltivate non dovrebbe essere considerato un problema ma una risorsa, in quanto permette di realizzare frutteti “su misura” per le specifiche condizioni pedoclimatiche e di produrre esattamente ciò che il mercato di riferimento richiede. Introdurre nuove varietà che non vanno a migliorare quelle già esistenti è, invece, da considerarsi una operazione inutile. Purtroppo, le aspettative di successo legate alle “accattivanti” novità, inducono i frutticoltori ad una scarsa prudenza nei processi decisionali, che poi si traduce nel mettere a dimora varietà senza che a monte vi siano state adeguate validazioni e sperimentazioni.

L’Italia, rispetto al passato, quando era produttore di innovazione varietale, si trova oggi in forte ritardo.

Infatti, il finanziamento pubblico a sostegno della ricerca e della innovazione è in costante diminuzione e l’impegno dei privati, pur se mostra segnali positivi, non è sufficiente a colmare il gap tecnico creatosi. Altre difficoltà legate all’eccessiva disponibilità varietale riguardano : – elevati volumi produttivi concentrati, però su un numero ridotto di cultivar; – un ampio calendario di produzione (da maggio ad ottobre), con varietà in grado di coprire un periodo di circa 10-12 giorni; – la presenza di tre categorie commerciali (pesche, nettarine, percoche), le prime due a loro volta classificate in base alla polpa, gialla o bianca (senza considerare le pesche e le nettarine piatte), che non considera però la tipologia della polpa (fondente/croccante; a lenta e rapida evoluzione) e del sapore (acidulo o tradizionale/dolce o con bassa acidità – subacido).

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Classificazione delle varietà di pesco in base all’acidità.

Il problema, quindi, non è legato solo alla numerosità delle cultivar, quanto alla mancanza di indicazioni chiare circa la tipologia e le caratteristiche organolettiche del frutto. Nei più recenti programmi di miglioramento genetico è consuetudine immettere sul mercato un pacchetto di varietà con caratteristiche qualitative comuni (100% di sovraccolore, polpa consistente, elevato °Brix, bassa acidità), differenziandosi per l’epoca di maturazione, con l’obiettivo di fidelizzare il consumatore a quella tipologia di prodotto. Parallelamente sono cambiate le preferenze dei consumatori, che non si basano più su caratteristiche distinguibili a vista (pesca/nettarina, colore della buccia, polpa gialla/polpa bianca), bensì si spingono oltre, identificando altri caratteri distintivi, per lo più sensoriali, quali ad esempio il contenuto in zuccheri ed in acidi organici (o il loro rapporto), oppure la tipologia di polpa. Questi aspetti sono stati indagati con criteri scientifici al fine di fornire le informazioni necessarie ai responsabili della pianificazione delle produzioni peschicole.

Uno studio condotto da ricercatori francesi ha preso in considerazione le caratteristiche della polpa (croccante/fondente/succosa), del sapore (acidulo/sub-acido/dolce) e dell’aromaticità per la classificazione varietale.

Dai risultati è emerso che il 41% dei consumatori ha preferito frutti zuccherini e succosi (croccanti o fondenti, ma sodi), il 32% frutti sub-acidi (croccanti o fondenti) e il 27% frutti aciduli e aromatici (fondenti e succosi). La polpa soda o croccante, a lenta evoluzione, è stata accettata da oltre il 70% dei consumatori.

Tale tendenza, in costante aumento, rischia di escludere dal mercato pesche più tradizionali (con sapore acidulo, aromatiche e succose), alle quali molti consumatori oggi sono ancora affezionati. Tuttavia, questo orientamento risulterebbe invece essere vantaggioso sia per i produttori (per il minor numero di passaggi al momento della raccolta e per una sua gestione più flessibile), che per i distributori (per i minori rischi di sovra maturazione dei frutti e conseguenti perdite di prodotto non commerciabile per le minori manipolazioni).

Pertanto sarebbe opportuno adeguare il sistema delle nomenclature commerciali.

Il fine è di facilitare il riconoscimento da parte degli acquirenti (del tutto ignari dei processi di miglioramento genetico nel quale sono state costituite e selezionate), indicando non più solo il nome della varietà, che non consente l’individuazione del frutto che soddisfi il proprio gusto, ma fornendo maggiori indicazioni sul sapore – dolce (subacido) o acido (acidulo, tradizionale) – e sulla polpa – soda, croccante ad evoluzione lenta (di sviluppo recente) o deliquescente ad evoluzione rapida (più tradizionali).

Seguendo questo criterio, anche in Italia è stata avanzata da due autorevoli ricercatori una proposta per mettere ordine nella complessa nomenclatura varietale della produzione peschicola, proponendo una classificazione ai soggetti della filiera (Sansavini e Colombo, 2016). Infatti, le attuali indicazioni – pesca gialla o bianca, nettarina
gialla o bianca, percoca, pesca piatta – sono categorie che non bastano per orientare il consumatore. L’indicazione del nome della varietà (la cui presenza sulla confezione è obbligatoria per regolamento commerciale) talvolta viene riportata più o meno volutamente in modo errato, orientandolo su quello della varietà più simile e diffusa di pari poca.
Dopo un’attenta analisi dei dati raccolti, la proposta riguarda la classificazione di seguito illustrata nella tabella sottostante.

Classificazione delle varietà di pesco in base all’acidità. NG = nettarina gialla; NB = nettarina bianca; PG = pesca gialla.

1. Linea tradizionale (dolce acidula bilanciata o equilibrata): innumerevoli sono gli esempi, sia nel settore delle pesche, sia in quello delle nettarine.

2. Linea dolce a bassa acidità (evitando la dizione errata “pesca sub-acida”): comprende la maggior parte delle varietà di nuova introduzione (con meno del 5-6‰ in acidi organici).
Per entrambe queste due linee si potrebbe ipotizzare anche un’ulteriore suddivisione per tipologia di colore, separando semplicemente le varietà bicolori, meno apprezzate, da quelle con 100% di sovraccolore rosso, oggi accreditate di maggiore “appeal” verso i consumatori.

3. Linea raccolta matura (“ready to eat” – pronta da mangiare, con esaltazione dei sapori e degli aromi): in tal caso si tratta non tanto di specifiche varietà, quanto di protocolli di produzione e raccolta differenziati e pensati, a prescindere dalle cultivar, per segmenti di mercato non distanti e che apprezzano i prodotti “premium”, disposti a pagarli di più.
In genere si tratta di frutti raccolti a maturazione avviata e quindi più dolci e aromatici, che necessitano di una logistica tale da assicurare il passaggio dal campo alla tavola entro le 24 ore.

4. Linea vecchi sapori: si può affiancare alla precedente come “target” e vuole rappresentare i tentativi, ormai numerosi, di valorizzare e riportare sul mercato (quello interno) cultivar dell’antico germoplasma con particolari ed elevati standard organolettici.

Qualunque sia la scelta fra queste categorie intermedie, essa andrebbe ad affiancare – magari con minore evidenza – il nome proprio della varietà e non quello della cultivar capofila (o capo gruppo) di quella linea, e che non deve figurare perché si tratterebbe, allora, di una contraffazione commerciale.

La proposta di segmentare gli standard qualitativi necessariamente deve essere condivisa appieno da tutta la filiera pesco, dai breeders agli addetti alla vendita nella GDO.
Nella sua semplicità essa però comporta tutte le difficoltà di cambiare un’organizzazione del lavoro affermata (produzione, condizionamento, logistica, vendita) che guarda poco alla qualità intrinseca del prodotto in campo, ma molto agli aspetti legati alla sua manipolazione e distribuzione, con l’obbiettivo di ridurre al massimo scarti e tare varie.

Così operando non si esaltano le caratteristiche dell’innovazione varietale, che vengono mortificate e vanificate da modalità di conduzione e gestione inadeguate.

Si è persa così, nel corso del tempo, la sintonia con il consumatore – la famosa Signora Valeria che, nell’idea di Michele Ferrero, fondatore dell’omonimo marchio famoso in tutto il mondo, è il prototipo del consumatore che fa la spesa ogni giorno e che di fatto decreta il successo o meno di un prodotto.
Nella prospettiva attuale, con calo di produzioni e consumi e con l’agguerrita concorrenza che porterà ad ulteriori perdite per la filiera peschicola, l’auspicio è che prevalga il coraggio di scegliere strade dall’apparenza più impervie solo perché c’è un forte gap organizzativo della filiera produttiva, con una discrasia tra i mondi della produzione e della commercializzazione.
Un percorso che invece può premiare la peschicoltura Made in Italy , ricollocandola su posizioni di maggior considerazione e competitività per il rispetto rivolto al consumatore.

 

 

Autori: Agrimeca Grape and Fruit Consulting srl – Turi (BA)

 

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