Appare oggi sempre più evidente l’influenza esercitata dal cambiamento climatico sui diversi aspetti dell’attività agricola, dalla gestione del suolo e del suo contenuto in sostanza organica a quella della risorsa idrica e delle operazioni colturali.
In particolare, nell’ambito delle specie frutticole coltivate nelle aree temperate, il mutamento climatico esercita una forte influenza sugli aspetti fisiologici delle colture stesse, spesso in modo negativo, ma talvolta anche in positivo. Innanzitutto l’aumento delle temperature medie influenza negativamente il soddisfacimento del fabbisogno in freddo, motivo per cui si assiste generalmente ad un anticipo di fioritura e germogliamento accompagnato da disordini fiorali (scalarità di fioritura, malformazione degli abbozzi fiorali, sterilità, ecc.) e dalla mancata sovrapposizione delle fioriture nel caso di cultivar auto incompatibili, con conseguente ridotta allegagione).
L’innalzamento termico determina, inoltre, un anticipo generale della maturazione dei frutti ed un ritardo della caduta delle foglie e quindi dell’entrata in dormienza delle piante stesse. Tra gli effetti negativi va segnalata la maggiore frequenza di eventi climatici “estremi” quali gelate precoci in autunno, gelate tardive in primavera e picchi di temperatura in estate. Mutato è inoltre l’andamento delle precipitazioni, sempre meno abbondanti nel periodo invernale, maggiori nel periodo estivo con una tendenziale maggiore intensità degli eventi piovosi (le cosiddette “bombe d’acqua”). Gli eccessi di disponibilità idrica spesso determinano condizioni di ristagno nel terreno e quindi di asfissia per alcuni portinnesti particolarmente suscettibili. Le mutate condizioni di temperatura ed umidità relativa incidono anche sulla attività di parassiti e patogeni (batteri, funghi, virus, insetti, nematodi) in relazione al ciclo fisiologico delle piante, talora aumentandone la pericolosità, talora riducendola. Tra gli effetti favorevoli del mutamento climatico va certamente sottolineato l’incremento stimato delle produzioni mondiali del 5% per la maggiore disponibilità atmosferica di anidride carbonica, molecola alla base della fotosintesi clorofilliana. Un altro elemento che incide fortemente sulla frutticoltura mondiale ed in particolare del nostro Paese è la globalizzazione del mercato.
Le conseguenze di questa nuova situazione si fanno sentire sia a livello ambientale che a livello sociale. Sempre più frequenti sono le introduzioni di nuovi parassiti: esempi recenti e molto gravi sono il cinipide del castagno (Driocosmus kuriphilus), la Xylella fastiodisa che ha colpito l’olivo, il moscerino dei frutti rossi (Drosophila suzukii), la cimice asiatica (Halyomorpha halys) e la batteriosi dell’actinidia (PSA – Pseudomonas syringae pv. actinidiae).
La globalizzazione ha inoltre determinato, in alcuni casi, anche un cambiamento nei consumi di alcuni prodotti per effetto delle correnti migratorie: esempio eclatante è quello delle pesche subacide in California, in conseguenza della emigrazione della popolazione vietnamita dopo la fine della guerra USA-Vietnam. Il miglioramento genetico californiano si è quindi rapidamente adeguato al nuovo mercato e le nuove cultivar subacide hanno finito per influenzare i consumi ed i programmi di breeding anche in Europa.Il miglioramento genetico dei fruttiferi deve quindi tenere conto delle mutate condizioni climatiche, delle nuove problematiche di tipo fitosanitario ma anche della rapida evoluzione dei contesti sociali.
Il miglioramento genetico
Il miglioramento genetico dei fruttiferi avviene ancora secondo la tecnica tradizionale che prevede:
- emasculazione (eliminazione degli stami) del bocciolo fiorale prima della schiusura del fiore;
- insacchettamento del fiore emasculato per evitare impollinazioni non desiderate;
- impollinazione manuale con polline della varietà selezionata.
Nelle specie entomofile, l’insacchettamento del fiore emasculato (privato anche dei petali) può essere evitato in quanto le api non visitano i fiori privi di corolla, anche se, in questo caso, non è del tutto esclusa la possibilità di una impollinazione involontaria. In Italia, come è noto, non è consentita la coltivazione di piante transgeniche e anche la ricerca è stata formalmente proibita da diversi anni. Qual-che spiraglio di apertura si intravede per il miglioramento cisgenico, ovvero il trasferimento in vitro di geni provenienti da varietà della stessa specie o da specie interfertili, come avviene da sempre in natura. Il breeding cisgenico è oggi fortemente facilitato dalla tecnica Crispr-Cas9 che consente di isolare e trasferire un singolo gene positivo o di inattivare un singolo gene negativo. Nonostante questo sia un fenomeno che avviene quotidianamente in natura, la politica europea non ha ancora sciolto le riserve circa la sua liceità, per cui, al momento, non è consentita la coltivazione di piante cisgeniche.
Emasculazione dei fiori in bocciolo in pre-schiusura ed insacchettamento prima della impollinazione artificiale in ciliegio dolce.
Fabbisogno in freddo
John Weinberger è stato un famosissimo breeder dell’USDA (Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti d’America), costitutore di un gran numero di cultivar di specie fruttifere che hanno avuto diffusione a livello mondiale, divenendo standard di riferimento per le stesse colture.
A titolo esemplificativo vanno ricordate le cv di pesco Suncrest, Fayette, Cardinal, Dixired, Fairtime e le nettarine Flavortop, Fantasia, Independence e Fairlane; le cv di susino Friar, Black Gold, Black Star, Black Diamond e le cv di uva apirena Autumn seedless, Flame seedless e Fiesta seedless. Nel 1941 Weinberger pubblicò uno studio col quale dimostrava una stretta correlazione tra il numero di ore con temperatura al di sotto dei 45 °F (pari a 7,2 °C) tra novembre e febbraio ed il soddisfacimento del riposo delle piante arboree da frutto che, per il pesco, variava, per la maggior parte delle cv dell’epoca, tra 7-800 ed oltre 1000 ore. Il non soddisfacimento del riposo comportava una cascola delle gemme a fiore nella fase di prefioritura.
Negli anni ’70 fu messo a punto un nuovo modello, chiamato successivamente modello Utah, che tiene conto del “peso” delle diverse temperature, sempre nello stesso periodo. Un terzo metodo, chiamato “modello dinamico” o delle “porzioni” di freddo ha rielaborato il modello Utah, valutando in modo ancora più analitico le temperature che si verificano durante il periodo di stasi vegetativa. Da un punto di vista pratico, il modello Weinberger è ancora oggi quello più utilizzato perché unisce la semplicità di calcolo e la effettiva risposta delle piante. Per quanto riguarda il pesco, l’ottenimento di cultivar a basso fabbisogno in freddo per aree caratterizzate da inverni tendenzialmente miti è stato da tempo risolto grazie all’attività di miglioramento genetico avviate per prima dall’Università della Florida.
Negli anni ‘60 infatti i ricercatori Sherman e poi Sharple hanno costituito decine di cv con fabbisogno in freddo da 50-100 h a 4-500 h che sono state poi alla base di analoghi programmi di miglioramento genetico in tutto il mondo. Un recente esempio italiano è la cv Sagittaria frutto di un incrocio tra Royal Glory x Flordastar (cv a basso fabbisogno in freddo della Florida) dell’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Caserta, precocissima e adatta alle regioni meridionali. Per la specie albicocco, la costituzione di cv a basso fabbisogno in freddo è molto meno avanzata, tenuto conto che il maggior numero delle nuove varietà è frutto del miglioramento genetico francese, dove questo problema è meno sentito rispetto all’Italia meridionale, in cui la coltura è in forte espansione.
Diverse nuove cv hanno problemi di produttività nonostante una normale differenziazione di gemme a fiore che, però, non schiudono. Questo fenomeno si manifesta soprattutto nelle annate ad inverno mite, ma, su alcune cv, si verifica anche in stagioni con elevato accumulo di freddo e in presenza di trattamenti con prodotti atti ad interrompere la dormienza. Per spiegare questo fenomeno, che ha un impatto negativo pesante in numerose aziende del Centro-Sud Italia, si sta facendo strada l’ipotesi che la mancata schiusura delle gemme a fiore, nonostante il freddo invernale, sia legata ad un “disturbo” fisiologico causato dalla ritardata caduta delle foglie in autunno per il prolungamento delle temperature miti nei mesi di ottobre e novembre. Una possibile soluzione è quindi una attività di miglioramento genetico che utilizzi cv a basso fabbisogno in freddo già presenti nei paesi mediterranei: i breeder spagnoli, pubblici e privati, sono fortemente impegnati in tal senso. Un esempio italiano molto positivo è la cv Ninfa dell’Università di Bologna, nata da un incrocio di Ouardi (cv tunisina a basso f. in f.) x Tyrinthos (cv greca pure a medio-basso f. in f.), perfettamente adattata al clima meridionale e alla forzatura in serra.
Le vecchie cv di albicocco coltivate in Italia erano tutte autofertili, mentre un numero crescente di cv “moderne” è autoincompatibile, con non pochi problemi di produttività in molte aree di coltivazione italiane: è quindi importante che il miglioramento genetico torni a selezionare solo cv autofertili. Molto c’è ancora da fare per il ciliegio, le cui cv più significative sono di origine centro europea o sono frutto di incroci intervarietali di cv “settentrionali”. Nel Mediterraneo si conoscono almeno 3 cv a basso f. in f. , autofertili e a maturazione precocissima: Kronio (individuata in Sicilia), Cristobalina (Spagna) e Bou Argoub (Tunisia). Queste cultivar sono ancora poco utilizzate come parentali nei programmi di miglioramento genetico, sebbene abbiano una grande potenzialità per le regioni meridionali, a maggior ragione se si considera il riscaldamento globale in atto.
Per la seconda parte dell’articolo “L’influenza dei mutamenti climatici in frutticoltura”: CLICCA QUI.
Autore: Carlo Fideghelli
© fruitjournal.com