In Italia la coltivazione del noce da frutto ha sempre avuto un’antica tradizione e la pianta, con la sua maestosità, è tra le specie frutticole caratterizzanti la frutticoltura meridionale.
In Campania, la regione che concentra oltre il 60% della superficie italiana, le piante di noce segnano il territorio e contribuiscono a definire ordinamenti colturali inediti in altre aree produttive, come la consociazione noce-nocciolo. Nella altre regioni italiane le piante di noce delimitano i confini dei diversi appezzamenti o fanno da cornice a canali e strade poderali. Tutt’oggi, in molte aree, permane la consociazione con altre colture, una concezione che purtroppo è alla base del declino della coltura a cui si assiste nel nostro Paese. Nel corso degli anni il comparto italiano è passato dalle oltre 80.000 tonnellate prodotte su 12.000 ettari degli anni 70, ai 4.400 ettari attuali, con una produzione che si assesta attorno alle 11.000 tonnellate. È l’istantanea di una coltura a confine tra le specie forestali e quelle frutticole, spesso intesa a duplice attitudine, da frutto e da legno, che di conseguenza ha tardato il percorso di specializzazione verso la produzione di frutti. L’approccio di tipo “tradizionale” e non intensivo comporta una gestione inadeguata degli impianti, minore resa, minore professionalità, aumento dei costi e mancata valorizzazione del potenziale produttivo.
Secondo il recente Piano di Settore del Ministero delle Politiche Agricole, che è rimasto più che altro una manifestazione d’intenti, se non nello sviluppo di poche azioni tra quelle previste, le ragioni della decadenza della coltura in Italia sono dovute a:
- tecniche colturali irrazionali e vetustà degli impianti;
- eccessiva frammentazione delle superfici coltivate;
- mancato rinnovamento varietale;
- scarsa qualità media del prodotto in post-raccolta;
- mancanza di omogeneizzazione del prodotto;
- scarsa propensione dei produttori all’aggregazione commerciale;
- insufficiente promozione presso i consumatori.
Il consumo delle noci, alla pari dell’altra frutta secca è in continua ascesa negli ultimi anni, con incrementi a doppia cifra. Anche per questa coltura si aprono interessanti spazi e possibilità d’investimento nelle nostre zone, per differenziare l’offerta frutticola e come valida soluzione in un periodo di cambiamento degli ordinamenti colturali. I punti di forza della coltura del noce sono:
- completa meccanizzazione e basso impiego di manodopera;
- basso impatto ambientale, gestibile anche con il metodo biologico;
- facile integrazione con il calendario delle altre specie frutticole (tra frutticoltura tardiva e olivicoltura/agrumi-coltura).
La realizzazione di noceti moderni e razionali
I principi di base e le considerazioni espresse per altre specie (es. mandorlo) valgono anche per il noce, che dovrà rispondere a criteri di valutazione e di gestione propri di una frutticoltura moderna e votata al raggiungimento di una dignitosa redditività per l’imprenditore. Pertanto, obiettivo primario dei nuovi impianti sono la riduzione della fase improduttiva, la riduzione della mole degli alberi, il mantenimento di elevati standard qualitativi per l’ottenimento di produzioni pregiate.
Esigenze pedoclimatiche
Il noce comune (Juglans regia) richiede terreni tendenzialmente sciolti o di medio impasto, permeabili, profondi e fertili. Estremamente importante è la corretta regimentazione delle acque superficiali, essendo specie che soffre l’asfissia radicale e risulta suscettibile ai marciumi radicali causati da Armillaria mellea e Phytophthora spp.. Predilige terreni neutri ma tollera anche quelli a pH 6-8, se ben gestititi con tecniche di fertirrigazione ed apporti di fertilizzanti a reazione acida per ridurre il pH. È specie termofila, che resiste alle basse temperature invernali (anche -20 °C) ma, germogliando a marzo-aprile, è sensibile alle gelate tardive; il suo fabbisogno in freddo è medio-alto (>800 ore con T≤7°C), simile a quello del maggior numero di varietà di albicocche e ciliegio coltivate negli areali meridionali. Una piovosità superiore a 700-800 mm/anno, ben distribuita durante la stagione vegetativa, assicura una disponibilità idrica sufficiente; nelle zone meridionali, contraddistinte da assenza di precipitazioni nel periodo estivo e venti caldi che accrescono l’evapotraspirazione, è indispensabile ricorrere ad apporti irrigui che possono variare tra i 1000 ed i 2000 mc/ha per assicurare elevate rese.
Scelta dei materiali di propagazione
Una razionale visione della coltura non può esimersi dall’utilizzo di materiale di propagazione garantito per gli aspetti di corrispondenza varietale e sicurezza fitosanitaria. Il noce è tra le specie per cui la produzione e commercializzazione del materiale di propagazione vegetale sono regolamentate da norme europee obbligatorie, poi recepite nell’ordinamento nazionale. Le Norme di qualità CE definiscono lo standard minimo fitosanitario e le modalità operative per assicurare la corrispondenza varietale durante le fasi di propagazione. Il livello minimo qualitativo da assicurare è la CAC – Communitas Agraria Communitatis – (definito dalla Dir. 2008/90/CE UE e dalle relative norme attuative). Sono anche previste norme volontarie per la qualificazione dei materiali di propagazione, che prevedono il Certificato UE (dove gli organismi nocivi da controllare non differiscono da quelli della CAC; unica differenza è la provenienza e tracciabilità dei materiali iniziali lungo tutta lo schema produttivo) e la produzione secondo le procedure nazionali più stringenti, previste nell’ambito del Servizio di certificazione volontaria del Mipaaf. Le piante di noce per la costituzione degli impianti moderni sono innestate o micropropagate in vitro.
I portinnesti
Gli impianti tradizionali in Italia sono stati di solito costituiti innestando le varietà autoctone coltivate Noce di Sorrento, Sorrentona, Malizia, Bleggiana, Feltrina su semenzali di varietà coltivate. Il franco di Juglans regia mostra buona affinità d’innesto ed è resistente alla malattia nota come black line, una disaffinità d’innesto causata da infezioni di CLRV (virus dell’accartocciamento fogliare del ciliegio). Esso conferisce vigoria e longevità alle piante e risulta essere resistente alla siccità; mostra suscettibilità ai marciumi causati da Armillaria mellea e Phytophthora spp..Il franco di Juglans nigra induce minore vigoria e precoce entrata in produzione, maggior resistenza al freddo ed ai marciumi del colletto, risultando però sensibile alla malattia black line.
In California sono utilizzati semenzali della noce nera californiana (J. hindsii) che sono meno vigorosi ma risultano suscettibili ai marciumi radicali e del colletto causati da Phytophthora spp.. Altro portinnesto largamente utilizzato è il Paradox, un ibrido tra J. hindsii x J. regia, che però è estremamente suscettibile ai marciumi radicali da Armillaria. Recentemente sono state selezionate alcune linee clonali di Paradox (Vlach, RX1 e VX21), ognuna delle quali presenta interessanti specifiche caratteristiche, pur permanendo problematiche di suscettibilità verso altri patogeni.Infine Royal, ibrido tra J. hindsii x J. nigra caratterizzato da rapida crescita, elevata vigoria e tolleranza ai marciumi del colletto. È necessario sottolineare però, che per nessuno di essi sono disponibili dati sul comportamento nei nostri areali.
Autori: Agrimeca Grape and Fruit Consulting – Turi (BA)
© fruitjournal.com