Come gestire la risorsa idrica in agricoltura

da Redazione FruitJournal.com

La carenza d’acqua di qualità è un problema sempre più stingente per l’agricoltura italiana. Stefano Marullo propone alcune soluzioni per non rimanere a secco.

Recupero delle acque reflue, impiantare varietà resistenti e irrigare in modo razionale sono alcune delle soluzioni percorribili.

Abbiamo intervistato Stefano Marullo, tecnico di campo della Società di consulenza agronomica FLOEMA, per parlare della scarsità idrica e del peggioramento della qualità delle acque utilizzate in agricoltura, fenomeni che interessano notevolmente molte aree costiere del meridione e della penisola salentina. L’agronomo fornisce consulenza nel campo del florovivaismo e di colture come melograno, olivo e avocado. Con il tecnico abbiamo affrontato le modilità di intervento e le misure di mitigazione utili a contrastare tali fenomeni, tentando di valutarne la fattibilità nella pratica agricola comune. La falda artesiana in molte zone del barese si trova a centinaia di metri di profondità. I costi di realizzazione dei pozzi sono ingenti (anche 100 – 150 mila euro). Se pensiamo ad esempio alla floricoltura, considerato che le piccole aziende florovivaistiche non sono in grado di sostenere tali costi, queste si sono impegnate nella realizzazione di vasche di raccolta “tipo olandese” utili a raccogliere le acque interccetate attraverso la superficie coperta dalle serre. L’acqua piovana raccolta nelle vasche può così essere riutilizzata, si tratta di una pratica virtuosa.

Al contrario, quando si preleva acqua dalla falda, si emunge acqua con concentrazioni elevate di sale e si va incontro a problemi sia per le falde che per l’impianto di irrigazione. L’acqua altamente salata occlude gli erogatori. In particolare, sempre nella pratica vivaistica, la qualità delle acque, ed in particolare la salinità, assume un ruolo fondamentale. Concentrazioni elevate di elementi come sodio, cloro, bicarbonati possono essere limitanti soprattutto per la radicazione. Per contrastare tale fenomeno una strada percorribile è quella dell’uso di tecnologie come l’osmosi inversa, che consente di ridurre il livello dei sali nelle acque. Tuttavia, l’osmosi inversa è una tecnologia molto costosa e ad oggi (a parte il florovivaismo) non è immaginabile il suo utilizzo per il trattamento delle acque da utilizzare in agricoltura in pieno campo.

Pensi che in futuro sarà possibile utilizzare questa tecnologia per sopperire alla carenza idrica?
A mio avviso sarà molto difficile che questo possa avvenire. Bisogna considerare che l’osmosi inversa non risolve il problema della disponibilità idrica ma solo della qualità dell’acqua di cui si dispone. In più questa è una pratica che comporta il dispendio di una quantità enorme di acqua. Se noi emungiamo acqua a 2500 μS/cm e riduciamo poi la conducibilità elettrica a 900 μS/cm, l’acqua di scarto è a 4000 μS/cm, acqua inutilizzabile se non con colture altamente resistenti alla salinità (es. melograno, fico e fico d’india). L’osmosi inversa è quindi una soluzione solo al problema della qualità delle acque, tra l’altro con un costo energetico elevatissimo.

Come si può fare agricoltura in zone di territorio colpite dal problema dell’acqua di cattiva qualità perché salmastra?
Io credo che una strada percorribile per risolvere il problema, come fanno già in altri Stati, potrebbe essere quella del riuso delle acque reflue in agricoltura così come, se si utilizza l’osmosi inversa, anche l’acqua scartata si potrebbe riutilizzare per esempio per le siepi, per colture minori o più resistenti alla salinità. In Israele, i consorzi gestiscono due linee, una che distribuisce l’acqua desalinizzata del mare, l’altra che proviene dal trattamento terziario delle acque reflue civili.

Gli israeliani “tagliano” l’acqua desalinizzata con quella proveniente dai reflui. In agricoltura si utilizza quindi un mix di queste due acque e credo che questa sia un’ottima soluzione. In Salento, il rischio di prelevare dai pozzi acque con elevata salinità è molto alto e questo potrebbe incentivare il fenomeno, già in corso, di intrusione di acqua salina nella falda lungo la costa.

Possiamo assimilare il nostro clima e le problematiche del prossimo futuro a quello che già oggi stanno vivendo Stati come Israele?
Il problema dell’acqua è già oggi attuale. Basti pensare che per colture ad alto fabbisogno idrico come uva da tavola, kiwi, avocado ma anche agrumi non sono praticabili ovunque proprio a causa della carenza idrica. Bisogna dimensionare e progettare l’azienda in base alla disponibilità idrica. Questo già oggi, non nel prossimo futuro. Si tratta di un serio limite.

Tuttavia, la ricerca sta cercando di individuare nuove tecnologie capaci di produrre con meno acqua. In futuro a mio avviso sarà necessario individuare altre fonti idriche, quindi recupero delle acque, ma al tempo stesso realizzare degli studi che siano in grado di valutare la vocazionalità di alcune specie ad un particolare tipo di territorio. In parallelo, sicuramente sarà necessario sperimentare altre specie resistenti alla salinità come il fico e il fico d’india, ma in questo caso l’obiettivo sarà di trasformarle in colture da reddito. Ovviamente ci sono oggi tecnologie e conoscenze che ci permettono di fare ulteriori passi in avanti rispetto al risparmio e alla ottimizzazione dell’uso dell’acqua. Mi riferisco ad esempio all’utilizzo della goccia al posto dell’aspersione così come miglioramento genetico per la individuazione di portinnesti e varietà altamente resistenti alla salinità.

 

Autore: Mirko Sgaramella

@fruitjournal.com

 

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