Pero Italia: scenario colturale

La coltivazione di alcune varietà estive di pero è oggi opportunità per diversificare le produzioni e intercettare un mercato esigente e attento

da Redazione FruitJournal.com

Nel prossimo numero di Fruit Journal, in distribuzione nei prossimi giorni in tutto il Sud Italia, parleremo del possibile sviluppo della pericoltura al meridione (pero Italia), attraverso due articoli firmati rispettivamente dalla dottoressa Caracciolo del CREA-OFA di Forlì e dagli agronomi della società  Agrimeca Grape and Fruit Consulting.

Sebbene non ci siano le prospettive per impiantare migliaia di ettari, la coltivazione di alcune varietà estive di pero Italia rappresenta oggi un’opportunità per diversificare le produzioni ed intercettare una nicchia di mercato caratterizzata da un consumatore attratto e incuriosito da antichi sapori autoctoni.

Per meglio comprendere le reali prospettive di sviluppo di questa coltura al Sud Italia, abbiamo indagato la situazione della pericoltura sul territorio nazionale con il parere di Alberto Grassi, direttore tecnico di Apofruit Italia.

Com’è strutturata la coltivazione del pero Italia?

Dal punto di vista produttivo è una coltura prettamente per il Nord Italia. Si sviluppa principalmente in due regioni: l’Emilia Romagna ed il Veneto, dove viene realizzata l’80% della produzione nazionale. È una coltura che trova piena adattabilità  al Nord, a causa del suo elevato fabbisogno di freddo, condizione indispensabile per una produzione costante nel tempo. Ha anche un elevato fabbisogno di acqua: per questo è necessario che i terreni siano fertili e profondi caratteristica che non tutte le regioni possiedono. Un’altra difficoltà  è la costanza produttiva, legata non solo a fattori climatici, ma anche tecnici e agronomici.

Ci vuole una buona conoscenza della gestione della coltura e della potatura, non tutti i territori hanno una così spiccata vocazionalità. Forse è la coltura più tecnica che esista a livello produttivo. Ha bisogno di tecnici preparati, con robuste conoscenze agronomiche e fitosanitarie, richiede quindi una quantità di input da parte degli operatori molto elevata. Al Sud, momentaneamente gli scenari a cui facciamo riferimento sono quelli siciliani.

I volumi di produzione della varietà Coscia in Sicilia, sono gli unici che riescono ad impattare un po’ sul mercato. È una coltura presente anche nell’areale campano ma, a livello di mercato, impatta veramente poco. In Calabria e Basilicata abbiamo più che altro produzioni locali, parliamo di pochissimi ettari.

pero italia

Spostando lo sguardo sul ventaglio varietale invece, che scenario abbiamo del pero Italia?

Per quanto riguarda le cultivar, purtroppo, questa è una coltura che negli anni ha avuto un ricambio varietale praticamente nullo. Lavoriamo ancora con materiale genetico che ha quasi un secolo di vita. In Italia, fondamentalmente, ci sono due grandi varietà  preponderanti in termini di volumi: la pera Williams e l’Abate Fetel. La pera Williams è la pera che viene raccolta a fine estate (i primi giorni di agosto) ed è a consumo autunnale.

È coltivata prevalentemente per la sua capacità  di essere trasformata, infatti, è utilizzata per la produzione di succhi di frutta e confetture. L’altra cultivar fortemente presente in termini di superficie è l’Abate Fetel, il cui principale areale produttivo è quello veneto-emiliano. Bologna, Modena e Ferrara sono le 3 province dove si concentra praticamente l’80% della produzione di Abate; la quale, rappresenta circa il 50% delle pere coltivate a livello nazionale.

Le altre varietà  sono estive: la Santa Maria e la Carmen. Queste, però, rappresentano una percentuale insignificante, circa del 5-6% della produzione nazionale di pere. Infine abbiamo la pera Conference, tipicamente del Nord, ma alcuni ettari sono presenti anche in Campania. Abbiamo anche un po’ di Kaiser. Per tutte le altre varietà , le quantità  sono veramente irrisorie.

Quali sono le finestra di mercato che riesce ad avere questa coltura?

Le prime vere produzioni importanti sono legate alla Guyot, sopratutto al Sud Italia, con una produzione prettamente per vendite locali. Per i mercati nazionali ed europei, invece, si parte con la produzione di Carmen e Santa Maria, raccolte nella seconda decade di luglio, con una finestra di commercializzazione che dura circa 60 giorni. Segue la Williams, i primi di agosto. Questa è la pera più importante, apre anche i mercati internazionali, registrando volumi di export importanti.

Il 30% della produzione viene esportata, il restante 70% rimane in Italia. Dobbiamo anche tenere conto, però, che il 50% del volume di questa pera viene trasformata. Il mercato prosegue con la vendita della pera Abate, che inizia i primi di settembre e, con le nuove tecniche di conservazione, la si riesce a commercializzare fino ad aprile – maggio. Il frutto migliore, comunque, lo si riesce a trovare sui mercati fino ai primi giorni di gennaio. L’Abate Fetel è un vero gioiello nazionale e la esportiamo quasi in tutto il mondo. Di questa pera circa il 50% viene venduto a livello italiano, mentre la restante parte è destinata all’export, specialmente al mercato europeo. Stanno cominciando anche le prime esportazioni oltremare, ma parliamo di percentuali bassissime.

Le altre pere, Conference, Kaiser e Decana del Comizio hanno scenari differenti. La Conference ha visto un declino continuo negli ultimi anni, perchè coltivata anche in Belgio e in Olanda, Paesi che ottengono un frutto dalle qualità nettamente superiori rispetto a quello italiano in termini soprattutto estetici. È una pera che viene ormai destinata ad un consumo quasi interamente italiano, le esportazioni si sono ridotte al 25%. Diverso è per Kaiser e Decana del Comizio. La pera Decana del Comizio ha un aspetto gustativo migliore, ma ha un problema a livello produttivo importante. Ha visto ridurre in maniera consistente le superfici negli ultimi decenni a livello nazionale, tant’è che oggi è considerata una pera di nicchia. La nostra pera Decana viene commercializzata entro il mese di gennaio, nei mesi successivi si trova, invece, solo il prodotto d’importazione che arriva, anche qui, dal Nord Europa. È una pera che non viene assolutamente coltivata nel Sud Italia per le sue esigenze di freddo, per le difficoltà  che presenta nella gestione e per una tecnica di potatura che richiede grande esperienza.

La pera Kaiser fatica a far prevedere la capacità  produttiva, vista la sua frequente alternanza e non sempre ha una carica fiorale adeguata. La Kaiser è la pera rugginosa per eccellenza, è prettamente invernale, ha un sapore molto dolce ed un aroma molto profumato. L’export è limitatissimo, viene venduta prettamente a livello nazionale ed anche questa varietà  ha subito un forte ridimensionamento delle superfici tant’è che oggi parliamo di un 10% di superfici a pero tra il veneto e l’Emilia Romagna.

Quali sono le varietà coltivate al sud?

Al Sud abbiamo Coscia e Guyot soprattutto, sono varietà  prettamente estive a raccolta fra fine giugno ed entro il mese di luglio. Hanno una bassissima conservazione, vanno consumate e vendute entro 40-50 giorni massimo, sono molto aromatiche e sono anche queste varietà  molto in là  con gli anni. Qui l’unica pera che si è provato a sviluppare è la Carmen che, però, non ha dato grandi risultati sempre per l’elevato fabbisogno di freddo che anche questa varietà  richiede.

Innovazione varietale in pericoltura, quali sono le novità ?

Ci sono grandi progetti internazionali. Ne esiste anche uno nazionale che è gestito principalmente dal CREA da cui provengono la Carmen e la Fastalf che stiamo iniziando a sviluppare. È una pera rossa, simile ad Abate Fetel, allungata è testata anche al Sud precisamente nel Lazio ed in Campania. Il problema è che anche per queste cultivar la gestione è molto complicata, non abbiamo grandi conoscenze e competenze; purtroppo si ha bisogno di molti anni di test e prove sui territori per capire la gestione ottimale di questa coltura.

Al momento vi sono pochi ettari al Sud ed è difficile dire come si sta comportando la coltivazione, in quanto, non si sono ancora registrate due annate simili da quando è stata introdotta, circa 7-8 anni fa. Ci sono tanti studi in ambito innovazione varietale anche in Nuova Zelanda ed in Sudafrica, sopratutto, con l’obbiettivo di implementare la resistenza al colpo di fuoco batterico che è una della maggiori problematiche legate al pero. Sono, comunque, tutte varietà  che da un punto di vista organolettico continuano ad essere molto scadenti.

Esistono specifici lavori di selezione di nuove varietà  di pere con minore esigenza di freddo da poter essere impiantate con più facilità  negli areali meridionali?

I ricercatori sono al lavoro su questo. La pera è un frutto piuttosto vecchio anche a livello di consumo e ha un trend di consumo abbastanza stabile. Il consumatore è stabilizzato e non giovane. Ci sono nuove varietà  che stiamo studiando e testando anche in Italia, che si approcciano maggiormente ad un consumo giovane. Per esempio gli incroci fatti con la pera asiatica Nashi hanno il fine di generare una pera adatta ad un consumo da snack. La pera Nashi non ha mai preso piede a livello europeo perché priva di aromi, ha una polpa croccante succosa ma non profumata e per questo non è apprezzata.

L’ultima novità è la pera Fred che, proprio in questi giorni, ha visto i suoi primi impianti di pero Italia. È una cultivar che ha tutte le caratteristiche di una pera europea: profumo e caratteristiche organolettiche simili alle nostre, ma polpa più croccante e succosa quindi più adatta ad uno snack. Parliamo, ovviamente, di un prodotto che sarà  disponibile per il consumatore non prima di 3-4 anni. È da specificare che comunque è stata pensata sempre per gli areali del Nord Italia: È stata sviluppata in Svizzera, quindi è facile immaginare l’esigenza in termini di freddo.

Più validi per il Sud, invece sono due progetti, uno neozelandese, l’altro sudafricano, con materiale genetico nuovo in fase di sperimentazione, ma di aspetto qualitativo ancora molto molto lontano dagli standard, è più adatto al mercato asiatico che al consumo europeo. Sintetizzando: il pero è una coltura molto complessa, con una redditività che non è al top e a mio avviso completamente inadeguata al Sud, dove altre colture sarebbero molto più redditizie.

 

 

Autore: Teresa Manuzzi

©fruitjournal.com

 

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