I coltivatori di kiwi negli ultimi anni hanno dovuto affrontare diverse patologie. In particolare, la batteriosi del kiwi, ovvero il cancro batterico, e la moria del kiwi, due delle problematiche che sempre più frequentemente compromettono la produzione e la qualità dei frutti.
Con Valter Fiumana, agronomo e tecnico di Agrintesa, abbiamo cercato di delineare caratteristiche, sintomi e diagnosi di queste due patologie che colpiscono l’actinidia.
Agrintesa, infatti, è una Cooperativa agricola dell’Emilia Romagna attiva nel settore dell’ortofrutta che, proprio negli ultimi anni ha ampliato la propria produzione di actinidia, investendo sia nelle classiche varietà a polpa verde che nelle nuove cultivar a polpa gialla.
Spesso sentiamo parlare di moria e batteriosi del kiwi. In cosa si differenziano le due patologie?
Partiamo da un inquadramento generale. Per il cancro batterico, le prime apparizioni in Italia sono iniziate a cavallo tra il 2007 e il 2008.
La grande esplosione di questa patologia, conosciuta anche come “batteriosi”, è avvenuta tra il 2009 e il 2011. Oggi, sebbene sia ancora presente, possiamo dire che non ha più la stessa forza di un tempo. Anche perché, dei tre batteri che interessano l’actinidia, il più pericoloso è lo Pseudomonas syringae pv. actinidiae. Quest’ultimo, infatti, avendo un’attività vascolare, può portare alla distruzione della pianta. Accanto a questo, ci sono poi lo Pseudomonas viridiflava, che attacca soprattutto durante la stagione primaverile, colpendo principalmente germogli e fiori, e lo Pseudomonas syringae pv. syringae più simile al batterio Pseudomonas viridiflava dal punto di vista dei danni provocati.
Inizialmente le modalità d’intervento non erano chiare, ma grazie alla collaborazione tra vari enti e l’adozione di specifici interventi fitosanitari, oggi siamo in grado di controllare, ed eventualmente convivere, con questa malattia. Tutte le varietà di kiwi possono essere colpite dal cancro batterico, sebbene alcune siano più predisposte rispetto ad altre. Lo stesso vivaio può esserne infestato. Tuttavia, grazie alla profilassi che ormai adottiamo da diversi anni, riusciamo a tenere sotto controllo la malattia. In particolare, le precauzioni e l’utilizzo di sali di rame in diversi periodi dell’anno e la distribuzione in momenti specifici di un induttore di resistenza, Acibenzolar-s-metile.
Se parliamo, invece, di moria del kiwi, i primi casi risalgono a 7-8 anni fa, nel veronese. Il nome si deve proprio all’effetto di questa patologia: con l’arrivo del caldo, soprattutto nei mesi di giugno e luglio, le piante muoiono. Il primo campanello d’allarme è l’annerimento delle radici, seguito dal rinsecchimento delle piante. A differenza della batteriosi, per la moria non abbiamo elementi che ci consentano di individuare il fattore scatenante. Pensiamo che la malattia possa essere la diretta conseguenza di una serie di condizioni sia pedoclimatiche, che di conduzione.
Un ruolo importante, inoltre, lo rivestono anche i suoli, perché si è notato che i casi di moria si manifestano molto più facilmente in impianti che sorgono su terreni più pesanti, piuttosto che su terreni sciolti. La moria, inoltre, è anche il risultato di una gestione sbagliata della coltivazione, come impianti senza baulature o con il colletto della pianta posto troppo in basso, una scorretta gestione irrigua o una scarsa dotazione di sostanza organica nel terreno. Tutto questo potrebbe infatti contribuire allo sviluppo della patologia.
Altrettanto incisivo è poi il fattore climatico. Se si registrano piogge molto copiose, soprattutto nel corso della primavera o dell’autunno, nei mesi di novembre e dicembre, i terreni che non riescono a drenare i volumi di acqua sono più predisposti ad attacchi di moria, sebbene le conseguenze si vedano solo nell’estate successiva.
È necessario, comunque, sottolineare che l’actinidia è una lianacea, pertanto il suo apparato radicale si sviluppa solo superficialmente e necessita di un sostanzioso apporto idrico. L’acqua però, allo stesso tempo, non deve ristagnare, ma occorre che venga evacuata. La pianta non gradisce infatti ristagni idrici e il terreno deve avere sempre una buona dose di sostanza organica. Se questo non ha luogo si va incontro a una vera e propria asfissia radicale, con la marcescenza delle radici e successivi attacchi da parte di funghi saprofiti, che vanno a insidiare soprattutto le radici più piccole e che assorbono gli elementi nutritivi.
Inoltre, le giovani piante di actinidia poste laddove si erano precedentemente riscontrati casi di moria, almeno per quanto riguarda l’agro veronese, sono morte velocemente. Oggi stiamo cercando di capire se esistono dei portinnesti efficaci, dei piedi più o meno resistenti agli attacchi. Negli ultimi tre-quattro anni un portinnesto sembra essere più resistente degli altri. Si tratta del Bounty. Esso, piantato nel veronese dove la moria aveva provocato la morte di coltivazioni di Hayward, ha dato buoni risultati. Al momento, però, le esperienze sono ancora molto brevi e valutare un portinnesto per così poco tempo è incauto.
Ilaria De Marinis
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