I microrganismi del suolo influenzano numerosi aspetti legati alla nutrizione delle colture. Con le agronome Chiara Vacca e Martina Broggio spieghiamo gli aspetti che legano la fertilità del terreno all’attività delle popolazioni di microrganismi che lo abitano.
Negli ultimi anni è in continua evoluzione la ricerca sul microbiota del suolo, ovvero sulle popolazioni di microorganismi che lo abitano. Numerose ricerche hanno permesso di capire l’importanza e il ruolo di queste popolazioni anche per la nutrizione delle piante.
L’agronomia pone oggi molta attenzione alle analisi chimico-fisiche del suolo, ai macroelementi come azoto, fosforo e potassio, al pH, alla tessitura del suolo e la sua capacità di scambio cationico (CSC).
Gli agronomi, in base a queste informazioni e alla coltura presente in campo, calibrano un piano nutrizionale. Purtroppo, altri importanti elementi alla base della vita delle piante vengono spesso trascurati: la sostanza organica e microrganismi del suolo non hanno un ruolo da protagonisti nella definizione del progetto di nutrizione di una coltura.
In un suolo fertile la sostanza organica rappresenta solamente il 3% in peso e il 14% del volume. Ma essa rappresenta ben il 46% della superficie responsabile di tutti gli interscambi di elementi nutritivi. Inoltre tra le particelle del suolo (sabbia, limo e argilla) la presenza di sostanza organica promuove un processo chiamato flocculazione che porta alla generazione di aggregati. La sostanza organica è fondamentale per la strutturazione del suolo.
Come si forma la struttura del suolo
La condizione primaria nel processo di formazione della struttura nel suolo è quella di disporre di molecole capaci di svolgere un’azione di collante tra le particelle. Si tratta di molecole che hanno origine organica: tra queste la glomalina, una glicoproteina insolubile e idrofobica nella sua forma nativa, di relativamente recente scoperta (Wright & Upadhyaya, 1996) che consente la formazione di glomeruli strutturali.
Molto importante nella genesi della struttura e direttamente relazionata ad essa è anche l’aria, alla base dei processi vitali dei microorganismi. Un suolo poco strutturato e asfittico, infatti, costituirebbe un ambiente poco ospitale per le popolazioni microbiche riducendone sensibilmente la presenza.
In foto: differenza di radicazione tra barbatelle messe a dimora in un terreno ricco di batteri (a destra) con visibile produzione di radici secondarie e testimone (a sinistra).
Popolazioni microbiche e nutrizione delle piante
Le popolazioni microbiche sono responsabili di diversi processi nel suolo: fissazione dell’azoto atmosferico; disgregazione e degradazione del materiale derivante da rocce e componenti organiche; disponibilità di sostanze assimilabili dalle piante attraverso il processo di mineralizzazione (ovvero la conversione di carbonio, azoto, fosforo e zolfo organici in forme minerali); produzione di humus; risposte allo stress delle piante e al mantenimento della fertilità del suolo. Non è eccessivo affermare che il benessere della pianta è direttamente relazionato ai microrganismi del suolo e alla loro attività.
In un suolo fertile si stimano circa 4-5 tonn/ha di biomassa vivente che, dopo la morte dell’organismo, diventa nutrimento vero e proprio per le piante. Le componenti minerale, organica e vegetale e le popolazioni microbiche sono strettamente relazionate nel suolo. Le piante che beneficiano dell’attività microbica, a loro volta secernono attraverso le radici essudati radicali che attirano i microrganismi promuovendone la crescita e ottengono in cambio un migliore benessere fisiologico e sanitario, ma anche un efficientamento nell’uso di acqua ed elementi nutritivi. Tutto questo si traduce in una maggiore quantità e qualità delle produzioni agricole.
Non solo di sintesi
Per quanto appena descritto, la nutrizione delle piante non può essere basata esclusivamente su fertilizzanti di sintesi: questi sono per la maggior parte a base salina e provocano nel tempo, soprattutto se localizzati in grandi quantità in porzioni ristrette di suolo, la plasmolisi – ovvero la morte – delle cellule batteriche e fungine presenti nel suolo. Negli anni la concimazione di sintesi ha preso il sopravvento a causa della carenza di letame e sostanza organica da apportare e per la maggior praticità d’utilizzo e di applicazione.
Inoltre la sostanza organica distribuita non è prontamente disponibile per la pianta e non può essere direttamente assimilata: deve essere preventivamente degradata dai microorganismi. Lo stesso dicasi per l’urea: se in coltura idroponica distribuissimo urea, la pianta non riuscirebbe ad assimilarla. È necessario un batterio, capace di produrre ureasi, l’enzima capace di scindere la molecola di urea in due molecole di ammoniaca.
Per comprendere meglio questo concetto si può paragonare il suolo al nostro intestino: se la nostra flora intestinale – circa 2-3 kg del nostro peso corporeo – è sana e attiva, tutto quello che mangiamo verrà assimilato in maniera molto efficiente. Queste interazioni sono anche responsabili della decomposizione di materiali organici in forme che possono essere facilmente incorporate dalle piante, creando un ciclo di nutrienti che vanno dal suolo al microbiota e ritorno al terreno.
Questo percorso includerà anche minerali inorganici essenziali, i micronutrienti (Cu, Mg, Fe e Zn) e i macronutrienti (N, P e K). Oltre 20 differenti studi (condotti su modelli e specie agricole rilevanti) spiegano che una maggiore ricchezza e funzionalità della biodiversità sotterranea agisce positivamente sul materiale vegetale e sulla biomassa in superficie (Díaz e Cabido, 2001).
Un universo ancora da scoprire
Secondo un recente studio effettuato in 12 vigneti della zona Colli Euganei e Colli Berici, sono state sequenziate ben 56.046 specie tra funghi e batteri (Progetto Vene-Terroir, M. Paoletti, A. Squartini, G. Concheri, DAFNAE). Il loro numero è molto elevato, sia per quantità in biomassa che per numerosità di specie: in media in un ettaro di vigneto si possono trovare circa 2-3 mila specie fungine e 5-6 mila specie batteriche. In un grammo di terreno ci possono essere migliaia di specie batteriche distinte e centinaia di specie di macrofauna (ad esempio protozoi e nematodi) e megafauna (lombrichi e insetti). I microrganismi del suolo sono un universo per lo più inesplorato. Le funzioni di questi microorganismi sono molteplici: pensiamo ai batteri che fissano l’azoto (oltre a quelli in simbiosi con le leguminose ci sono anche diverse specie indipendenti) e ai batteri produttori di auxine, citochinine e gibberelline, essenziali per le fasi chiave della crescita e dello sviluppo delle piante.
Il Microbial loop
I microrganismi del suolo sono inoltre implicati nel fenomeno noto come “Microbial loop”.
Nel disegno schematico riportato a fianco, si illustra in dettaglio il concetto di loop microbico.
(1) Le radici perdono essudati ricchi di carbonio, (2) i quali stimolano la crescita e la diversificazione microbica (3) e portano allo sviluppo dei protozoi. (4) Poiché i protozoi si cibano selettivamente della popolazione batterica in crescita, viene favorita la crescita delle piante che promuovono i rizo-batteri (PGPR). Questi producono acido indolacetico (IAA), (5) che porta a un aumento della crescita delle radici laterali in virtù della presenza di auxina (ormone della crescita). (6) Man mano che crescono più radici laterali, la pianta rilascia più essudati, (7) che stimolano la crescita batterica futura. (Bonkowski e Brandt, 2002).
Considerando le funzioni svolte dalle diverse popolazioni microbiche nel suolo e il loro effetto su benessere e nutrizione delle piante, appare senz’altro utile un ulteriore approfondimento in questa materia. Studiare più in profondità questi aspetti conferirà ai microrganismi tellurici il ruolo da protagonisti che meritano nel contribuire alla fertilità del terreno e al mondo agronomico un utile strumento per migliorare l’approccio alla nutrizione delle colture.
A cura di: Martina Broggio, enologa e direttore tecnico di BluAgri, e Chiara Vacca di Floema Mediterranean Agronomic Consulting.
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