Per il Bel Paese, l’actinidia è una coltura di recente introduzione, coltivata da “appena” 50 anni. Tuttavia l’Italia è oggi il secondo produttore di kiwi al mondo. Con Valter Fiumana, agronomo per la Cooperativa Agricola Agrintesa, approfondiamo trend, dati e novità provenienti dal settore e riferiti a produzione kiwi Italia.
Grazie alle nuove cultivar e alle proprietà benefiche di cui gode, il kiwi continua ad attrarre consumatori e produttori, portando l’Italia al secondo posto nella classifica dei Paesi produttori di actinidia. Con l’agronomo Valter Fiumana approfondiamo produzione kiwi Italia, novità e cambiamenti in arrivo dal settore.
Per i primi 30 anni dalla sua introduzione in Italia, la produzione italiana di actinidia si è concentrata maggiormente sulla varietà Hayward. Basti pensare che negli anni ‘80, questa veniva venduta al consumatore a mille lire il pezzo.
Favorita dai prezzi, la coltura si è poi sviluppata abbastanza velocemente fino a metà degli anni ‘90. Tuttavia, alla rapida crescita della produzione ha fatto da contraltare una rete di commercializzazione meno strutturata e preparata rispetto a quella di oggi. La convergenza di questi fattori, a metà degli anni ‘90, ha portato a un ridimensionamento dei prezzi alla produzione e, nelle zone meno vocate, alla sostituzione di numerosi impianti.
Nel tempo i consumi sono aumentati sempre più, soprattutto per la grande disponibilità di prodotto che, grazie all’alternanza semestrale delle produzioni provenienti dai due emisferi, è ormai presente sui banchi della GDO dodici mesi l’anno. Un aspetto altrettanto decisivo è ravvisabile nell’estrema facilità di conservazione del frutto in post raccolta: il kiwi, infatti, è un frutto climaterico che, pertanto, matura anche dopo alla raccolta. Questo offre dunque alla commercializzazione una finestra temporale più ampia. Infine, ma non per ultimo, le proprietà benefiche del kiwi ne hanno favorito la diffusione anche tra i consumatori più attenti.
Kiwi verdi, kiwi gialli
Attualmente, in Italia, si contano complessivamente 19.953 ettari di kiwi a polpa verde, quasi il 90% dei quali ospita la cultivar Hayward. La cv Boerica – varietà prodotta da qualche anno, dalla forma più cilindrica e allungata rispetto alla Hayward – interessa invece 2.000 ettari. Con il tempo, però, alle varietà a polpa verde si sono gradualmente affiancate cultivar a polpa gialla e rossa, determinando un progressivo ampliamento dell’offerta. È bene tuttavia precisare che la produzione di varietà a polpa rossa, nonostante la crescente richiesta di mercato, è ancora agli inizi.
Così – almeno per il momento – oltre al kiwi verde, in Italia oggi sono a dimora 5.349 ettari di kiwi giallo. Senza dubbio, gli impianti di queste varietà sono di più recente introduzione; basta considerare che nel 2016 gli impianti di kiwi verde interessavano ben 24.276 ettari.
Il prezzo vantaggioso di liquidazione del kiwi giallo, infatti, ha spinto molti imprenditori agricoli a investire in modo preponderante in quella direzione. Il kiwi a polpa gialla, gestito in modalità club, inoltre, consente di mantenere standard elevati di qualità del prodotto, oltre che di quantità, essendo gli ettari contingentati. Questa gestione permette ai produttori di poter essere ben remunerati, in quanto sul mercato vengono presentati volumi capaci di essere ben assorbiti e di buona qualità.
A tal proposito, si consideri che, per quanto riguarda le cultivar di giallo, il gruppo Zespri con la sua varietà di kiwi G3 interessa oltre 3.000 ettari di impianti e il gruppo Jingold con le varietà Jintao e Jinyan circa 1.500 ha, a cui si aggiungono gli oltre 600 ettari che ospitano rispettivamente le varietà Soreli e Dori.
Actinidia in Italia
Sul panorama nazionale, attualmente, la regione che ospita il più alto numero di impianti di actinidia è il Lazio con 5.219 ettari destinati alla coltura. Seguono Emilia Romagna (3.491 ha), Piemonte (3.182 ha), Calabria (2.620 ha) e Veneto (1.955 ha).
Come testimoniano i dati, l’actinidia è una specie che si è adattata bene nel nostro Paese, trovando piena diffusione in quelle zone dove si riscontra maggiore disponibilità di acqua per l’irrigazione. Il kiwi, infatti, necessita di circa 4.000/6.000 metri cubi di acqua per ettaro, prediligendo terreni di medio impasto, ben drenati e con una buona dotazione di sostanza organica.
Cambiamenti climatici, batteriosi e moria del kiwi
Tuttavia, nell’ultimo decennio la coltura del kiwi ha dovuto fare i conti con molteplici avversità che ne hanno ostacolato l’affermazione: dai cambiamenti climatici al cancro batterico, causato da Pseudomonas syringae pv. Actinidiae (batterio in grado di attaccare tralci, foglie, fiori e persino il legno della pianta, portandola alla morte). Senza considerare i danni riconducibili alla moria del kiwi, riscontrati negli ultimi dieci anni. Le cause alla base di questa patologia non sono ancora chiare, ma i lavori di ricerca e analisi proseguono. Al momento, sembra che la moria sia dovuta a una serie di condizioni pedoclimatiche e di conduzione dell’actinidieto. In particolare, si è notato che la patologia insorge in seguito a periodi molto piovosi o bombe d’acqua, in impianti in cui è difficile evacuare le acque piovane o si riscontrano situazioni asfittiche per le radici. Queste, infatti, vanno incontro a deterioramenti tali per cui, in occasione di temperature alte registrate durante i mesi di giugno o luglio, le piante collassano e muoiono.
Actinidia nel mondo
Nonostante tali difficoltà, è bene osservare che, a livello globale, il Bel Paese gioca un ruolo di primo piano nella produzione e distribuzione di actinidia. Attualmente, infatti, siamo il Paese che esporta i volumi maggiori di kiwi. Per quanto riguarda le altre realtà, nell’ambito dell’emisfero boreale, è la Grecia il Paese che ha mostrato una crescita maggiore negli ultimi anni, passando da 8.000 ettari nel 2016 a 10.877 ettari nel 2020. Rimangono stabili gli altri stati europei: Francia con 3.873 ha, Portogallo 2.736 ettari e Spagna 1.260 ettari.
Analogamente, sembrano essere stabili i dati provenienti dai Paesi dell’emisfero australe, con la Nuova Zelanda, che mantiene i suoi 12.905 ettari, e il Cile che si attesta a 7.852 ettari, perdendo negli ultimi cinque anni circa 1.700 ettari di superficie per via della batteriosi e – in parte – della sostituzione degli impianti con produzioni di uva da tavola.
Per concludere
“In definitiva – conclude Fiumana – ritengo che per questa coltura ci sia ancora molto spazio di crescita. Sicuramente abbiamo bisogno di rinnovare molti impianti di kiwi verde che hanno superato i 20 anni di età. Accanto a questo, però, vista la risposta del mercato, sono certo che continueranno a espandersi anche le superfici del kiwi giallo, guidate dai Club. Intanto, a tutti i produttori di kiwi – attuali o potenziali – consiglio sempre di valutare bene il proprio terreno e la propria zona di produzione prima di eseguire un impianto o di affidarsi a tecnici esperti per evitare insuccessi”.
Ilaria De Marinis
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