Tra le varie azioni possibili per il superamento della crisi dell’agrumicoltura italiana, vi è anche quella dell’utilizzo di modelli colturali innovativi ad alta densità e meccanizzabili come gli agrumi superintensivi. Obiettivo: ridurre i costi di produzione.
Riproponiamo l’articolo a cura di Giancarlo Roccuzzo del CREA OFA – Forlì “Agrumi intensivi: opportunità anche per l’Italia?” pubblicato nel numero 2 del 2019 della rivista.
La forte competizione internazionale e il perdurante stato di crisi del settore impongono l’esplorazione di modelli colturali innovativi in agrumicoltura, che possano accrescere il valore aggiunto a livello aziendale. In questo contesto, gli sviluppi delle tecniche di alta densità in agrumicoltura adottate in Spagna rappresentano una delle opzioni da validare anche in Italia, viste le differenze a livello pedoclimatico e colturale, nonché di organizzazione di mercato.
Attualmente, esiste poca evidenza sperimentale sulla coltivazione intensiva di agrumi nel mondo, anche se è noto il comportamento di alcuni portinnesti a ridotta vigoria, che si adatterebbero bene al sistema ad alta densità. Allo stesso tempo la gestione colturale necessita di opportuni adeguamenti, utili al più rapido ottenimento di una efficiente parete produttiva. Gli agrumi, con l’eccezione del pompelmo, fruttificano prevalentemente all’esterno della chioma. Inoltre, in numerosi studi poliennali e in varie condizioni, è stato dimostrato che esiste una correlazione positiva tra lo sviluppo della superficie fogliare e la produttività.
Agrumi superintensivi: l’esperienza spagnola
Nel 2009 sono stati impiantati alcuni dispositivi sperimentali nel sud della Spagna. In particolare sono degne di nota le prove avviate presso il centro IFAPA di Las Torres (Siviglia) per valutare le più appropriate densità d’impianto e il comportamento di alcune combinazioni d’innesto.
La coltivazione superintensiva degli agrumi si basa su impianti ad alta densità (1250-2000 piante/ha), con piante a ridotta vigoria (portinnesti seminanizzanti e nanizzanti) e sesti d’impianto molto ravvicinati (3,5-4 x 1,5-2 m).
Fondamentale risulta l’uniformità e l’opportuna certificazione del materiale di propagazione utilizzato. Nella configurazione degli impianti spagnoli viene fatto largo utilizzo di tutori e, in relazione alla semplificazione della gestione della fila, di teli neri pacciamanti che coprono anche le due linee irrigue laterali a microportata.
La formazione e la gestione della parete produttiva viene realizzata mediante una gestione integralmente meccanizzata.
La potatura è indirizzata alla formazione di una parete fruttificante di dimensioni controllate: 2,0 – 2,3 m di altezza e 1,5 – 2,0 m di profondità, lasciando liberi da ramificazioni i primi 50-60 cm dal suolo per ridurre gli eventuali danni alla raccolta. Vengono consigliati tre interventi annuali (topping ed hedging); quello principale dopo la raccolta e due minori di rifinitura in piena estate e ad inizio autunno, per l’eliminazione dei polloni. Nei primi anni sono consigliati limitati interventi manuali di rimozione dei rami secchi all’interno della chioma, per arrivare alla configurazione finale dell’impianto. Nelle condizioni colturali andaluse, la raccolta è realizzata mediante macchine scavallatrici operanti per scuotimento orizzontale, dedicate o di derivazione dal settore viticolo, peraltro disponibili in quanto largamente utilizzate anche su mandorlo e olivo. Il maggiore investimento iniziale, in base all’esperienza spagnola, sembra essere velocemente bilanciato dalla precoce entrata in produzione dell’impianto e dalla drastica riduzione dei costi di coltivazione.
Possibile adattamento in Italia
La destinazione di mercato degli agrumi in Italia è ancora largamente orientata al consumo fresco, che premia alcune caratteristiche estetiche e organolettiche delle varietà locali. In tale ambito sarebbero da verificare alcune combinazioni d’innesto tra i portinnesti candidati e alcune varietà di arancio pigmentate caratterizzate da maggiore consistenza del frutto (Moro, Sanguinello), quindi maggiormente adattabili alla meccanizzazione integrale degli impianti.
In ciascuna situazione puntuale si tende a ottimizzare lo sviluppo della parete fruttificante, individuando la più utile densità d’impianto e la combinazione d’innesto ritenuta idonea per le specifiche condizioni pedoclimatiche.
In generale, le condizioni del suolo e del clima, nonché le caratteristiche colturali italiane differiscono da quelle spagnole, necessitando di una taratura della tecnica agronomica finalizzata al contenimento dell’attività vegetativa.
Gli interventi di potatura meccanica in altre realtà agrumicole mondiali sono ormai consolidati nella pratica di campo, mentre in Italia stentano a diffondersi anche nelle condizioni di campo in cui sarebbero facilmente praticabili, nonostante l’Italia sia tra i principali produttori di macchine agricole. L’intervento meccanico è un’ottima soluzione per ridurre i costi e un valido strumento per ottenere dalle piante buoni risultati agronomici. Questi ultimi, da prove effettuate su arancio, mandarino e limone, sono influenzati da svariati fattori quali lo stato vegeto-produttivo e l’età delle piante, l’intensità dell’intervento, la frequenza della potatura, la specie e la cultivar. Le esperienze di potatura meccanica realizzate in Italia negli anni ’80 hanno dimostrato come l’infittimento interno della chioma ha spostato all’esterno la produzione, per cui i frutti, meglio esposti rispetto alle piante sfoltite, hanno evidenziato un migliore livello di maturazione.
Vista la scarsa diffusione di macchine raccoglitrici dedicate alla coltura degli agrumi in Italia, la gestione della chioma dovrebbe essere impostata per la realizzazione di una parete produttiva della profondità di 90 – 110 cm, per poter utilizzare il parco macchine attualmente disponibile e adattabile con contenuti investimenti tecnologici. In tale contesto è anche da valutare la fattibilità della raccolta agevolata per il mercato del frutto fresco.
A cura di Giancarlo Roccuzzo – CREA OFA – Forlì
©fruitjournal.com