Negli ultimi 40 anni la meccanizzazione è entrata pesantemente in oliveto, aumentando la produttività e, in molti casi, la qualità di prodotto. Ma qual è oggi lo stato dell’arte delle macchine per l’olivicoltura?
Nell’ultimo numero di Fruit Journal approfondiamo lo stato dell’arte di attrezzature e macchine per l’olivicoltura sia tradizionale che intensiva, soprattutto riguardo il loro avvicinamento all’olivicoltura di precisione.
I dati statistici parlano chiaro. La coltivazione dell’olivo riveste in Italia un ruolo di grande importanza sia per le quantità prodotte, sia per la qualità della produzione. La ricerca di soluzioni che ottimizzino le lavorazioni ha portato alla creazione di impianti superintensivi che presentano, in luogo delle tradizionali piante singole, delle pareti produttive, dove le operazioni colturali risultano interamente meccanizzate.
Nell’ultimo numero di Fruit Journal approfondiamo lo stato dell’arte di attrezzature e macchine per l’olivicoltura, un segmento che riveste, soprattutto nel nostro Paese, una fondamentale importanza nell’agroalimentare. E non potrebbe essere altrimenti visto che nel bacino del Mediterraneo, Italia, Spagna, Tunisia e Grecia rappresentano i player mondiali per la produzione globale di olio e olive.
In ambito italiano, nel 2021 è stata stimata una superficie totale olivicola (tavola e olio) di 1.155.569 ha e una produzione complessiva di olive raccolte di circa 24,7 milioni di quintali (Istat, 2022).
Ovviamente è la Puglia nel panorama italiano a fare da padrona, contribuendo per più di un terzo alla produzione olivicola italiana. I sistemi di coltivazione dell’olivo maggiormente diffusi in Italia sono di tipo tradizionale o a bassa densità (<200 alberi/ha).
Da almeno una cinquantina d’anni, parallelamente allo sviluppo di tecniche irrigue e vendemmiatrici, si sono sviluppati gli impianti a media intensità (250-500 alberi/ha).
L’abbattimento dei costi di gestione è stato drastico anche se le operazioni di potatura richiedono un’esecuzione manuale e la raccolta meccanica avviene a pianta singola.
Questi limiti sono superati con i moderni sistemi ad alta densità o superintensivi (>1000 alberi/ha), che dal concetto di albero singolo transitano a quello di parete produttiva continua. Tali impianti sono idonei alla potatura meccanica e all’impiego di macchine da raccolta scavallatrici, a maggiore produttività del lavoro, efficienza e multifunzionalità. Gli oliveti superintensivi si prestano anche all’utilizzo di attrezzature che avvicinano il comparto al concetto di olivicoltura di precisione che, ad esempio, contempla CAD, software previsionali e simulazioni dell’impianto. Questo tipo di approccio impiega in maniera sempre più significativa la sensoristica e i droni nelle varie fasi colturali e prevede l’impiego di operazioni colturali preventive per contenere le virosi, limitare l’utilizzo agrochimico o massimizzare l’azione dei fertilizzanti.
Trapianto meccanico per creare colture di tipo industriale
La prima fase in cui la meccanica entra nell’oliveto è quella che riguarda la preparazione del terreno. L’impianto di un nuovo uliveto o di una singola pianta di olive si effettua in primavera, anche se è bene preparare il terreno in autunno con aratura o scasso, per permettere un buon drenaggio e consentire alle giovani radici di penetrare facilmente nel suolo. Per la messa a dimora bisogna scavare una buca di 50 cm.
Il lavoro nell’oliveto da parte del coltivatore si concentra in particolare sulla gestione del terreno al meglio, evitando che si compatti. Bisogna evitare di effettuare lavorazioni del suolo quando è bagnato, limitandosi agli interventi di aratura o erpicatura necessari per una buona gestione. Il problema del compattamento del suolo è un problema molto sentito nelle zone con clima mediterraneo, perché contribuisce all’inaridimento del suolo. La meccanica subentra anche nella fase di messa a dimora delle piantine auto-radicate di olivo che viene effettuata con trapiantatrici meccaniche dotate di sistema laser che, ottimizzando la posa rispetto alla gestione manuale, permette un corretto allineamento del dispositivo di trapianto sulla fila, con un errore contenuto entro i 3 centimetri.
In funzione del modello, queste macchine operano il trapianto su una fila o su due file contemporaneamente.
I limiti di tale tecnologia sono riconducibili essenzialmente ai vincoli di visibilità fra l’emettitore e il ricevitore, ai terreni che devono essere regolari dal punto di vista orografico e agli elevati tempi morti dati dalle fasi di riposizionamento all’inizio del filare. Le trapiantatrici di ultima generazione sono quelle che utilizzano sistemi di posizionamento globale RTK-DGPS. Rappresentano una valida innovazione, in quanto sono in grado di automatizzare integralmente le fasi di posa, con una precisione di 1 cm.
A cura della redazione
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