Negli ultimi giorni non si è parlato d’altro: i magazzini chiudono i cancelli e non ritirano più ciliegie. Ma cosa c’è dietro la polemica che sta segnando la campagna cerasicola 2022? Qual è l’altra faccia della medaglia?
La fine della campagna cerasicola 2022 è ormai vicina, ma come ogni anno non può dirsi conclusa se non a suon di malumori di vario genere.
Dopo lo scalpore suscitato dai prezzi record delle ciliegie registrati in alcuni supermercati del Nord Italia, la nuova ondata di polemiche è scoppiata nel fine settimana, a Conversano, in provincia di Bari, quando i produttori hanno trovato le porte chiuse dei magazzini ortofrutticoli.
A sostegno dell’indignazione generale, Coldiretti Puglia che – a poche ore dall’accaduto – ha emanato un comunicato, in cui denunciava “l’amara sorpresa” riservata ai produttori conversanesi, impossibilitati a vendere le ciliegie raccolte per via dei magazzini chiusi.
“I magazzini chiudono i cancelli e non ritirano le ciliegie ‘Ferrovia’, la più pregiata e dal calibro consistente – si legge nella nota – con i prezzi che crollano a 1,0/1,20 euro al chilogrammo, al pari di un caffè al bar, mentre i costi per produrle sono quasi raddoppiati con le difficoltà a reperire la manodopera per le operazioni di raccolta”.
“Non possiamo permettere che i nostri agricoltori siano costretti ad abbandonare questa produzione storica e riconosciuta a livello nazionale per colpa dei prezzi in campagna ciclicamente troppo bassi”, aveva poi sottolineato Savino Muraglia, presidente di Coldiretti Puglia.
Senza dubbio le complicazioni legate ai rincari e al conflitto russo-ucraino stanno incidendo sull’andamento commerciale di questa campagna cerasicola 2022. E i prezzi, già bassi, a fatica ripagano i costi sostenuti dai produttori.
Ma quanto è opportuno indignarsi contro la scelta di restare chiusi adottata da alcuni magazzini? O meglio, è possibile provare a comprendere le ragioni che hanno portato a una simile iniziativa?
Andiamo per punti.
In primo luogo, per lo stesso magazzino una chiusura significa una perdita. Diversa rispetto a quella del produttore, ma altrettanto negativa. L’altra opzione, infatti, sarebbe stata aprire regolarmente, accettare le partite di ciliegie portate dai produttori, ma pagare a prezzi decisamente irrisori. Una svalutazione del tanto decantato “oro rosso di Puglia” non solo per chi lo produce, ma anche per chi – una volta giunto nei canali della grande distribuzione – si ritrova poi a fare i conti con richieste di ben altro tipo.
E questo ci porta al secondo aspetto della questione. Le ciliegie italiane, e la varietà Ferrovia in modo particolare, arrivano sul mercato praticamente in contemporanea con il prodotto turco. Quest’anno, stando alle prime stime, la qualità delle ciliegie provenienti dalla Turchia sembra essere molto buona, con calibri ottimi. A differenza del prodotto italiano, che invece si presenta con calibro piccolo e una qualità sotto la media. Il basso costo della manodopera e i grandi investimenti tecnologici introdotti nella lavorazione delle ciliegie garantiscono poi prezzi ben più interessanti e competitivi. Come se non bastasse, a tutto questo bisogna aggiungere un aspetto proprio di questa campagna. A causa del contesto rischioso di Ucraina e Russia, infatti, nonostante l’intenzione di puntare ai mercati asiatici, la produzione turca è stata dirottata verso i mercati dell’Ue, giungendo così sugli scaffali insieme alla Ferrovia.
Ultima, ma non per importanza, una criticità tutta interna alla filiera: l’incapacità di organizzare la vendita al dettaglio.
Il comparto cerasicolo presenta problemi di natura strutturale e questi possono essere risolti solo attraverso l’intervento della politica. Dai progetti di innovazione varietale all’utilizzo di impianti coperti, la politica è chiamata oggi a promuovere scelte e aiuti tali da permettere a tutti gli attori della filiera di andare incontro al mercato con prodotti di qualità e remunerativi.
La faccenda, dunque, appare ben più articolata e controversa. E le trame che si intessono, talvolta sconosciute ai più, risultano assai intricate. A conti fatti, allora, più che sollevare polemiche spesso inutili e dannose, sarebbe necessario sedersi a tavolino e unire le ragioni di produttori e commercianti per portare avanti, uniti, una riflessione ben più costruttiva e funzionale a cambiare il corso degli eventi. Diversamente, il rischio è di fomentare l’ennesima guerra tra poveri, dove a perderci – alla fine della fiera – sono tutti.
Ilaria De Marinis
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