Dalle passerelle alle vie di campagna, da lustrini e paillettes a forbici da potatura, sesti d’impianto e reti frangivento: si potrebbe descrivere così la storia di Vincenzo Amata, agente di commercio nel settore dell’abbigliamento ora alla guida di PapaMango, marchio specializzato nella produzione di mango siciliano.
La storia di PapaMango e del suo ideatore la trovate anche nell’ultimo numero di Fruit Journal, dedicato all’esotico italiano.
Classe 1959, Amata conduce per 35 anni una vita in giacca e cravatta come agente di commercio nel settore dell’abbigliamento e manager di diverse aziende di moda. Nel 2011, però, tutto cambia: la moglie eredita un piccolo fondo nei pressi di Sant’Agata di Militello (Me) e Vincenzo decide di prendersene cura.
Come inizia l’avventura nell’esotico con la produzione di mango siciliano?
La mia esperienza inizia nel 2011, quando sono entrato per la prima volta in un fondo di proprietà di mia moglie, ottenuto a seguito di una divisione ereditaria familiare.
Per prima cosa ho cercato di capirci di più: in tutta la mia vita non avevo mai piantato neppure un pomodoro. Fino ad allora, infatti, la mia vita l’avevo vissuta in giacca e cravatta, in un mondo completamente diverso da quello dell’agricoltura.
Quando sono entrato in questa campagna, sita nel centro della cittadina di Sant’Agata di Militello, sul mare, di fronte alle isole Eolie, ho subito pensato a quale coltura introdurre. Inizialmente, vista la tradizione agrumicola siciliana, ho deciso di puntare sul limone. Naturalmente, ho chiesto aiuto a tecnici e collaboratori, ma la produzione non era delle migliori. Nonostante gli scarsi risultati iniziali, fermamente convinto delle potenzialità del territorio, non mi sono dato per vinto. Oltre alla posizione sul mare, infatti, questo appezzamento di otto ettari vanta una posizione strategica, estendendosi su un’area pianeggiante e dalla grande disponibilità idrica. D’altra parte, non avendo cultura agraria, sono dovuto partire da zero e ho cominciato a guardarmi intorno. Pian piano, ho quindi imparato cosa fosse un concime ternario, quali ruoli giocassero azoto, fosforo, potassio e tutti gli altri microelementi. Poi ho iniziato a pensare a piccoli accorgimenti per migliorare il fondo agricolo.
Fin quando, un giorno per sbaglio mi sono ritrovato in una campagna a quattro chilometri dal mio paesino mentre mi recavo da un amico. Essendomi perso, ho chiesto indicazioni a un anziano signore che si trovava lì e stava mangiando un frutto. All’inizio credevo fosse una pesca, poi però ho percepito un profumo strano e, su invito dell’anziano signore, l’ho assaggiato.
Posso dire di aver avuto una folgorazione: in quel momento ho sentito una trasformazione del mio corpo.
Intanto, mi sono dato del cretino per non averlo mai assaggiato prima, poi ho iniziato a porre delle domande. Questo signore, infatti, era un produttore di mango e mi ha presto spiegato che circa trent’anni prima il professor Francesco Calabrese, in collaborazione con la Regione Sicilia, aveva condotto degli esperimenti in tutta l’area siciliana, mettendo a dimora delle piante tropicali, tra cui mango, avocado e papaya. A seguito di questa collaborazione, proprio nei terreni in questione, nel comune di Acquedolci (Me), sono stati piantati circa 40 alberi di mango e la produzione è stata sorprendente.
Spinto dalla curiosità, ho visitato questo mangheto e, di fronte ad alberi tanto maestosi, ho iniziato a maturare il mio progetto. Dal momento in cui sono tornato a casa, ho iniziato a studiare. Ho guardato video e approfondito le mie conoscenze, prendendo spunto da quanto già fatto in Messico, Perù e soprattutto Brasile. Ho cercato di capire come coltivare il mango, come realizzare un impianto, quali aspetti tenere in considerazione. Studiando, mi sono poi imbattuto nel lavoro realizzato da dal professor Calabrese che, tra l’altro, nelle conclusioni, specificava come – secondo i suoi studi e le sue analisi – la zona vocata per il mango risultasse proprio la zona compresa tra Bagheria e Milazzo. Questa è stata per me l’ennesima conferma.
Mi sono vestito di presunzione e ho fatto un primo investimento, cercando di valutare come fosse opportuno fare i sesti, le baule, le reti frangivento. Ho quindi piantato 400 alberi di mango e, tra fine 2011 e inizio 2012, ha preso il via la mia avventura con l’esotico siciliano.
Ho fatto tanti errori, ho dovuto correggere tante cose. Ho imparato a effettuare correttamente l’irrigazione, scoprendo a mie spese che il sistema a goccia era più adatto di altri. Ho scelto di condurre l’impianto con una gestione sostenibile, che avesse riguardo per la natura e limitasse gli sprechi, cercando anche di non utilizzare fitofarmaci e prodotti chimici. Ho imparato persino a guidare il trattore cingolato e ad avvicinarmi a tutto il mondo delle macchine agricole.
Gradualmente, all’agente di commercio si è quindi sostituito l’agricoltore. E da essere una occupazione “part-time”, l’attività in campo è diventata prioritaria. Perché l’agricoltura è come un bambino: ha bisogno di qualcuno che la segua costantemente, con attenzione, studio e tanta passione.
Ovviamente non ho fatto tutto da solo e sin da subito mi sono affidato ad agronomi e tecnici, per poi iniziare a prendere contatti diretti con aziende europee. Una di queste ha persino investito sulla mia azienda, mandando dei tecnici che potessero aiutarmi nella corretta gestione del mango e dell’avocado, altra coltura esotica che ho iniziato a produrre due anni dopo il mango.
Quali varietà di mango producete?
Oggi PapaMango vanta un impianto di 2300 piante di mango siciliano di cultivar diverse. Produciamo Kensington-Pride, Kent, Keitt, Sensation, Glenn, Maya e Irwin. La scelta di una così ampia selezione varietale è legata alla personale volontà di offrire il prodotto per un prolungato periodo di tempo. Una scelta che mi permette di produrre e vendere mango fino a fine novembre, per poi arrivare sulle tavole anche a Natale. Alcune cultivar tardive, infatti, presentano una shelf-life più lunga e conservano una qualità elevata anche in post-raccolta.
In ogni caso, conto di ampliare ulteriormente la produzione e di arrivare entro quest’anno a 5 ettari e mezzo di mango. Inoltre, ho intenzione di proseguire con le operazioni di copertura. Quest’anno, infatti, complice il cambiamento climatico, ho registrato danni significativi su 600 piante, a causa delle cinque alluvioni che si sono abbattute sul territorio.
L’unica produzione abbondante è stata quella condotta sotto copertura, quindi l’intento è proseguire lungo questa direzione.
Qual è il riscontro in termini commerciali?
La produzione di mango è diventata il mio core business e il mio scopo di vita lavorativa. D’altra parte, nel tempo i coltivatori di mango sono diventati sempre più numerosi. Fortunatamente, però, avendo lavorato nel settore della moda, ho messo in pratica e affinato delle scelte relative a tutto quanto concerne l’immagine del prodotto. Oggi, infatti, i consumatori mangiano anche con gli occhi e il mercato richiede dettagli non indifferenti: dall’omogeneità di pezzatura alle proprietà organolettiche, dall’effetto cromatico dei frutti nella cassetta all’attenzione alla sostenibilità del packaging. Per cui ad esempio, oltre all’attenzione per la produzione finale, impiego paglia ecologica nelle confezioni, ho un marchio ben definito e via discorrendo. Ho così adattato il mio sapere nel campo della moda al settore agroalimentare. Essendo poi abituato a relazionarmi con le grandi multinazionali, sono riuscito anche a comprendere quelle che sono le richieste del mercato. Ho avuto il piacere di essere attenzionato da aziende importanti, come Orsero di cui sono il partner ufficiale per quanto riguarda il mango. Una collaborazione che mi inorgoglisce molto e che mi porta anche a puntare sempre più in alto, garantendo una produzione di qualità elevata.
I nostri frutti sono interamente calibrati a mano, non subiscono trattamenti chimici e si possono mangiare anche con la buccia. In più, presentano la certificazione “Global Gap” che mi consente di poter vendere il prodotto a grandi realtà nazionali ed europee. Il mio orgoglio più grande è riuscire a offrire un prodotto con un profilo residuale pari alla metà del minimo consentito per legge. Tutti aspetti che mi hanno permesso di spuntare i prezzi da me stabiliti. Perché? Perché quando offri un prodotto e un servizio di qualità, alla fine le aziende ti posizionano su un piano diverso e ti rispettano.
A cosa si deve la scelta del nome “PapaMango”?
La scelta del nome ha un significato legato a più aspetti. In primo luogo, è un riferimento geografico: i mangheti infatti si trovano in contrada Papa. E poi ha un significato affettivo, perché è un omaggio al mio papà che, lungimirante, ha sempre cercato di trasmettermi il suo sapere e il suo amore per la campagna che solo oggi riesco a comprendere davvero.
Fondendo poi le parole “papa” e “mango”, ho avvertito subito un che di esotico che ha ulteriormente avvalorato questo nome.
Tirando le conclusioni, a distanza di ormai dieci anni, possiamo dire che l’intuizione di un mango siciliano si è rivelata vincente.
Dirò di più: pur essendo l’ultimo arrivato in questo mondo, oggi ho l’onore di essere attenzionato dall’Università di Palermo, in particolare grazie al professor Vittorio Farina del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali, dal Cnr e dalla Regione Siciliana. Proprio l’amministrazione regionale mi ha coinvolto in un progetto per la realizzazione di un campo prova dove, grazie alla collaborazione con l’Università di Palermo, gli studenti possono avviare studi e ricerche. Inoltre, il Cnr ha predisposto proprio qui una stazione meteo con cui monitorare le problematiche legate al freddo o al gelo.
Per me, che per 35 anni sono stato con la giacca e la cravatta, tutto questo fa sorridere. Provo davvero un mix di soddisfazione, orgoglio e piacere. Anche perché, dopo tanto studio e duro lavoro, tra errori commessi e terminologie per me completamente nuove, oggi vengo considerato a tutti gli effetti uno del settore. Ed è una soddisfazione, perché – a distanza di anni – PapaMango è ora una realtà conosciuta e apprezzata.
Ora, vorrei che la mia storia fosse di esempio per tutti i ragazzi e le ragazze di oggi che, purtroppo, a mio parere, stanno commettendo un errore gravissimo: porsi dei limiti. Il nostro cervello non ha limiti: applichiamoci, rivolgiamoci verso la natura. Come per tutte le cose, le difficoltà sono tante, però – garantisco – ne vale sempre la pena.
Ilaria De Marinis
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