Imballaggi: i rischi del nuovo regolamento UE

È ancora una bozza, ma già fa discutere: il nuovo regolamento UE in materia di imballaggi rischia di mettere in crisi un comparto italiano d'eccellenza

da uvadatavoladmin
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È ancora una bozza, ma già fa discutere la proposta di regolamento UE in materia di imballaggi. Secondo più voci, il nuovo pacchetto di norme – emendamento dell’attuale direttiva europea 94/62/CE – rischia di scuotere tutta la filiera, con ricadute pesanti su distribuzione e commercio.

Com’è noto, da diversi anni l’Europa ha fissato una serie di obiettivi da perseguire al fine di ottenere una maggiore sostenibilità ambientale. Inizialmente, per favorire un cambiamento graduale e rispondente alle specifiche esigenze di ogni tessuto economico e sociale, era stato affidato ai singoli Stati membri il compito di introdurre le diverse misure per raggiungere i risultati richiesti. Ora, invece, la Commissione europea vuole introdurre un regolamento unico, un insieme di norme valido per tutti, a prescindere dal potere decisionale di ogni Stato. In altri termini: una volta approvato, dovrà essere adottato tout court da tutti gli stati membri, poiché immediatamente vincolante.

Cosa prevede il nuovo regolamento UE per imballaggi e packaging dell’ortofrutta

Tra le misure previste, la prima riguarda la riciclabilità degli imballaggi: tutti i packaging, dal 2030 in avanti, dovranno essere riciclabili. Quanto al contenuto minimo di riciclato recuperato da rifiuti di plastica post-consumo, se per le bottiglie monouso per bevande sarà del 50% da raggiungere entro il 2030 e del 65% nel 2040, leggermente più basso sarà il target per gli imballaggi in plastica sensibili al contatto, pari rispettivamente al 25 e al 50%.
Per tutti gli altri imballaggi in materiale plastico il contenuto minimo parte dal 45% (2030) per arrivare comunque al 65% nel 2040.

Novità anche per quanto concerne gli imballaggi biodegradabili e compostabili, che saranno resi obbligatori entro due anni dall’entrata in vigore del regolamento per alcuni prodotti. Tra questi rientrano i bollini adesivi apposti su frutta e verdura e i sacchetti di plastica ultraleggeri.

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Accanto a questo, la bozza del nuovo regolamento invita poi gli Stati membri a ridurre i rifiuti di imballaggio pro capite del 5% entro il 2030, del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040.

Sono espressamente vietati alcuni formati tra cui gli imballi monouso per prodotti ortofrutticoli freschi, le confezioni in polistirene espanso per la vendita al dettaglio di prodotti alimentari (escluso il pesce), gli imballaggi in plastica monouso per alimenti e bevande riempite e consumate all’interno dei locali nel settore Horeca.

Se approvato, inoltre, il regolamento introdurrà anche l’etichettatura ambientale degli imballaggi: composizione, riutilizzo e conferimento diventeranno indicazioni obbligatorie, a differenza del contenuto di riciclato che resterà volontario.

Infine, non mancheranno restrizioni circa l’uso di sostanze pericolose, in particolare per piombo, cadmio, mercurio e cromo esavalente.

Qual è allora il motivo di tanta preoccupazione per il Belpaese?

L’Italia si distingue in Europa per capacità di recupero e riciclo di materiali, vantando una filiera capace di generare ricchezza e lavoro che conta 6,3 milioni di occupati e fattura 1.850 miliardi di euro. Di contro, la bozza del regolamento – di circa 200 pagine – al momento non tiene conto di dati preziosi come questo per i Paesi che hanno sviluppato una rete di riciclo dei materiali. Tra cui – per l’appunto – la stessa Italia che, secondo i dati Conai, nel 2021 ha riciclato 10,55 milioni di tonnellate di imballaggi (il 73,3%) superando il 65% richiesto da Bruxelles.

A livello nazionale, sono tanti i comparti dell’economia che lavorano con gli imballaggi riciclati, tra cui agricoltura e logistica. Non a caso, il Conai – il Consorzio nazionale imballaggi – conta circa un milione di imprese aderenti e, in virtù dei propri statuti, ha riversato nelle casse delle amministrazioni locali 727 milioni di euro provenienti dal contributo ambientale (CAC) che la filiera gli riconosce, ai quali si aggiungono 445 milioni di investimenti per le attività di recupero, riciclo e trattamento dei materiali.

In sostanza, il pacchetto di norme UE sugli imballaggi andrebbe a penalizzare un sistema di recupero in cui l’Italia eccelle e per il quale il PNRR ha stanziato – tra l’altro – 2,1 miliardi di euro.

Di qui la nota pubblicata dal Ministero della Transizione Ecologica qualche giorno fa.
“La proposta di regolamento sugli imballaggi circolata nei giorni scorsi ci lascia perplessi, sia per il veicolo normativo scelto, un regolamento, che non lascia alcuna flessibilità di applicazione, sia per i contenuti. Le scelte devono essere supportate da valutazioni tecnico-scientifiche che consentano, a parità di obiettivi ambientali, di perseguire i modelli che comportano i benefici maggiori sotto il profilo sociale ed economico”. “Inoltre – si legge ancora nella nota – se un modello nazionale funziona (ed è questo il caso del sistema di gestione degli imballaggi italiano, basato su raccolta differenziata integrata, ove necessario con raccolta selettiva) la normativa comunitaria deve supportarlo e non sostituirlo con un altro dall’efficacia incerta”.

Su indicazione del ministro Gilberto Pichetto, il MiTE ha quindi aperto un confronto affinché si intervenga nelle sedi opportune a livello comunitario.

 

Ilaria De Marinis
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