La maculatura bruna del pero è la principale patologia che interessa la coltura. L’agente causale è il fungo Pleospora allii, attivo nella sua forma agamica Stemphylium vesicarium.
Considerata la rilevanza della coltura a livello nazionale, conoscere e analizzare il fenomeno della maculatura del pero appare oggi di primaria importanza. Secondo i dati ISTAT, infatti, nel 2022 si contano quasi 27 mila ettari di superficie italiana destinati alla coltivazione del pero. Dati che portano l’Italia al primo posto in Europa e al terzo in termini globali. A livello nazionale, le regioni in cui si concentra maggiormente la produzione di pere sono Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte e Sicilia.
Maculatura bruna del pero: il ciclo del patogeno
Durante i mesi invernali il patogeno sverna nelle foglie cadute a terra. Le ife fungine colonizzano i tessuti vegetali e formano gli pseudoteci dove ha inizio la maturazione delle ascospore di P. allii. Tale maturazione si manifesta principalmente nel periodo tra metà marzo e metà aprile e, a maturazione completa, in concomitanza di eventi piovosi gli pseudoteci rilasciano le ascospore. Queste ascospore si vanno a depositare sulle parti disseccate del cotico erboso dove avviano la colonizzazione saprofitica. Queste foglie rappresentano un vero e proprio substrato per la produzione di conidi e fonte di inoculo per le infezioni a carico di foglie e frutti.
La fase parassitaria invece è rappresentata dalla diffusione e dispersione dei conidi che in condizioni favorevoli raggiungono la pianta e germinano penetrando nei tessuti vegetali. Particolari condizioni climatiche possono agevolare e velocizzare la propagazione portando così alla formazione di macchie necrotiche in breve tempo.
Dagli studi condotti negli anni per meglio comprendere gli aspetti bio-epidemiologici è emerso che al ruolo primario di S. vesicarium si aggiunge spesso l’azione secondaria dei ceppi di Alternaria spp. e che i conidi di S. vesicarium producono, durante la loro germinazione, due tossine specifiche. Si tratta delle tossine SV-I e II responsabili delle modificazioni ultrastrutturali della membrana plasmatica delle cellule vegetali.
Quali sintomi?
I sintomi si manifestano dalla fioritura alla raccolta per lo più a carico di fiori, foglie e frutti, ma è stato possibile isolare il fungo anche dai cancri presenti sui giovani rami lignificati. Le foglie possono presentare piccole macchie bruno-nerastre non solo sulla lamina ma anche sul picciolo fino a ricoprire l’intera superficie.
I frutti, solitamente infettati in corrispondenza della zona calicina, manifestano come sintomi macchie brune contornate da un alone rossastro. Con il progredire della malattia e nei casi più gravi i sintomi possono manifestarsi anche sulla polpa del frutto avviando così processi di marcescenza che causano la caduta del frutto stesso.
Su quali varietà?
Le varietà di pero hanno una diversa suscettibilità alle infezioni di S. vesicarium. Tra gli ospiti più suscettibili sono le cultivar medio-tardive di Abate Fètel, Decana del Comizio, Conference e Kaiser. Le cultivar più precoci come la pera William, invece, mostrano una certa tolleranza alle tossine prodotte dal fungo.
Come intervenire?
Tra i mezzi di intervento per gestire le infezioni di S. vesicarium, particolare attenzione è rivolta alle operazioni di sanificazione del cotico erboso dove il fungo svolge il suo ciclo in forma saprofitaria. Tra le strategie più efficaci rientrano diversi tipi di intervento, ovvero quelli:
- meccanici come l’interramento del cotico erboso e le lavorazioni del suolo;
- fisici come il ricorso al pirodiserbo, ovvero il trattamento termico del terreno;
- chimici con l’utilizzo di calciocianamide, calce idrata e solfato ferroso;
- con microrganismi antagonisti che consistono nell’utilizzo di prodotti fitosanitari a base degli autorizzati Trichoderma gamsii e T. asperellum.
Considerando che il patogeno si moltiplica sui tessuti secchi e in decomposizione, come anche sulle graminacee in decomposizione, risulta fondamentale la gestione del cotico se si decide di non interrarlo.
A favorire l’attività del patogeno, poi, sono anche i ristagni superficiali e la vicinanza ai corpi idrici. Per ottenere i migliori risultati quindi è utile abbinare agli interventi di sanificazione primaverile gli interventi chimici sulla chioma così come, per mantenere l’effetto e contenere i danni, è opportuno ripetere più volte e secondo necessità le operazioni.
I più recenti cambiamenti climatici hanno inciso negativamente sulla malattia. Si assiste infatti ad un sempre maggiore e costante rilascio di conidi che generano infezioni più difficilmente controllabili. Tutto ciò ha portato gli studiosi a incrementare le loro sperimentazioni testando soprattutto l’efficacia dei prodotti fitosanitari. Al contrario sono quasi nulli gli studi sull’ospite e l’interesse a sviluppare, mediante programmi di miglioramento genetico, varietà che garantiscono il successo della pericoltura in Italia.
Silvia Seripierri
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