La cinaricoltura in Italia rappresenta una tradizione agricola radicata, soprattutto nelle regioni del Sud. Il patrimonio genetico del carciofo è abbastanza ampio e ricco di geni che possono essere utilizzati per costituire nuove varietà resistenti a stress biotici e abiotici. Ciò nonostante, gran parte della coltivazione di questo ortaggio è legata all’utilizzo di ecotipi locali. Si tratta di piante autoctone sviluppatesi in uno specifico territorio e che possiedono un’elevata diversità genetica e fenotipica.
Sfruttando il fenomeno del vigore ibrido o eterosi, l’elevata variabilità genetica presente all’interno delle popolazioni locali di carciofo ha permesso di costituire degli ibridi F1 completamente italiani.
L’eterosi o vigore ibrido è un fenomeno attraverso il quale la progenie di due individui geneticamente diversi tra di loro mostra prestazioni superiori rispetto ai genitori: si basa sull’ottenimento delle cosiddette linee inbred. In sostanza, attraverso diversi incroci, si cerca di fissare un determinato carattere di interesse – che può essere la dimensione del capolino – ottenendo individui con un alto grado di omogeneità genetica, detti F1. Questo fenomeno è spesso attribuito a una combinazione favorevole di geni provenienti dai genitori che si esprimono in modo complementare nella prole. Gli ibridi F1 possono essere sviluppati per ottenere caratteristiche specifiche desiderate, come maggiore resistenza alle malattie, adattabilità a diversi ambienti o resa più elevata.
L’ottenimento di ibridi F1 permette di ottenere una svariata serie di vantaggi. Bisogna però attuare una serie di accorgimenti nella propagazione di queste varietà. Quali?
Gli ibridi F1 non possono essere moltiplicati per seme perché attraverso questa operazione c’è un’alta probabilità di rischio di perdere, nelle generazioni successive, i caratteri agronomici desiderati.
Una soluzione è quella di moltiplicare gli ibridi per via agamica. Questo tipo di riproduzione è spesso utilizzata nella coltura del carciofo, grazie alla presenza di organi che ben si addicono alla propagazione per parti di pianta, come ovoli, carducci e parti di ceppaia.
Oltre alla riproduzione agamica, un’altra soluzione può essere quella di utilizzare il fenomeno della maschiosterilità. La maschiosterilità permette di ottenere piante che non riescono a produrre polline fertile, evitando di incorrere in spiacevoli sorprese genetiche legate alla fecondazione incrociata delle piante in campo. Il carciofo coltivato in pieno campo, infatti, oltre ad autofecondarsi – avendo un fiore ermafrodita – potrebbe incrociarsi con il polline proveniente da piante differenti, producendo semi frutto di incroci casuali. Un processo che – se avviato – innescherebbe la perdita della tanto apprezzata omogeneità genotipica della generazione di piante F1.
Quali sono stati gli ultimi ibridi F1 messi in commercio?
Capriccio F1: è una varietà di carciofo con ciclo precoce, che fornisce capolini a partire dall’autunno fino alla primavera. La pianta è molto vigorosa e riesce a entrare in produzione pochi mesi dopo il trapianto, riuscendo a produrre, in condizioni ottimali, anche 20 capolini per pianta. Il capolino presenta forma cilindrica allungata con colorazione viola intenso.
Opera F1: questa varietà ha un ciclo produttivo medio-precoce, producendo capolini da inizio autunno fino a primavera inoltrata. Rispetto alla varietà precedente è caratterizzata da una pianta meno vigorosa. Il capolino presenta forma allungata, di medio-grandi dimensioni e con colorazione violacea.
Opal F1: questo carciofo presenta una maturazione medio-precoce che va dall’inizio dell’inverno fino a tutta la primavera. La pianta si presenta abbastanza vigorosa e i capolini sono di dimensioni medio-grandi, di forma rotondeggiante. Il colore delle brattee esterne è verde con leggere sfumature violacee.
Madrigal F1: a differenza delle precedenti, questa varietà di carciofo ibrida è caratterizzata da una maturazione tardiva, che consente di ottenere la maggior parte della produzione in primavera inoltrata. La pianta è caratterizzata da buona vigoria e sopporta abbastanza bene le basse temperature. I capolini sono di forma ovoidale, con numerose brattee interne di colore verde intenso e con una leggera sfumatura viola alla base.
Come si vede, oltre a consentire l’ottenimento di piante dotate di maggiore resistenza alle malattie e agli agenti atmosferici, l’ottenimento di nuove varietà contribuisce a incrementare la produttività di questo ortaggio, ottimizzando l’uso delle risorse. La lunga storia di cui si caratterizza la cinaricoltura italiana non può quindi prescindere dal miglioramento genetico, strumento essenziale per preservare e potenziare questa tradizione, oltre che per far fronte alle sfide del futuro.
Donato Liberto
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