La crisi dei consumi di vino è evidente, lo dicono chiaro i dati dell’OIV, Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino. Uno stato di crisi non solo italiano, bensì mondiale, legato a tanti fattori come gli stili di vita differenti rispetto al passato, il cambiamento climatico e le avversità che continuano a interessare la vite, oltre ad anni di sovrapproduzione.
La produzione di vino a livello mondiale, infatti, è crollata come non si vedeva dal lontano 1961 a fronte di superfici coltivate sostanzialmente stabili (-0,5% rispetto al 2022, con 7,2 milioni di ettari vitati totali). A pagarne maggiormente le spese è il mercato dei vini rossi, in perdita costante da anni, e quindi le zone di produzione, dall’Abruzzo alla Sicilia, passando per la Puglia. Una sfida importante per il futuro del comparto, ma soprattutto per stimolare di nuovo la domanda e l’offerta. Così c’è chi pensa che per ovviare al problema servano soluzioni più o meno drastiche, come l’espianto dei vigneti. È il caso del piano proposto da Copa Cogeca, organizzazione europea che raccoglie le associazioni di agricoltori e delle cooperative agricole, che ha portato in Commissione Agrofish del Consiglio dell’Unione Europea una proposta.
In definitiva, si prevede un espianto dei vigneti definitivo in aree rurali e un espianto temporaneo per le coltivazioni definite di “pregio”. In quest’ultimo caso il viticoltore avrebbe un tempo minimo di tre anni e massimo di otto prima di reimpiantare o decidere di non farlo più.
Il tutto legato ai soldi dei fondi europei, anche se l’ultima rottamazione con contributo Ue è avvenuta soltanto negli anni 2010-2011. Attualmente la possibilità di espianto dei vigneti non è infatti prevista dalle norme Ue, dev’essere autorizzata da Bruxelles e poi finanziata dai fondi nazionali.
Luca Rigotti, presidente del gruppo di lavoro Vino del Copa-Cogeca, in un’intervista ha parlato proprio della proposta in campo. “Per le aree dove la viticoltura non esprime valori significativi in termini qualitativi né economici per le comunità rurali, prevediamo un aiuto all’espianto definitivo per alleggerire l’offerta di un prodotto difficilmente commercializzabile”. L’ipotesi, continua il presidente, è quella di un espianto temporaneo con una durata minima di 3 anni estendibile fino a 8 per i vigneti “pregiati”. “Dopo i tre anni il viticoltore può ricorrere ai tradizionali aiuti per il reimpianto e la ristrutturazione, spostando da 6 a 8 anni dopo l’espianto il limite temporale per accedere ai programmi di aiuto – ha continuato ancora Luca Rigotti – Per gli anni non produttivi questi terreni potranno accedere agli Ecoschemi e alle misure agroambientali, per ristorare in parte il mancato reddito”.
Una situazione simile in Francia
Questa proposta non nasce dal nulla. Già in Francia il Governo aveva stanziato 230 milioni di euro per far fronte alle richieste della filiera vitivinicola, con una parte di questa destinata all’espianto di diversi ettari di vigneti. In particolare la zona più interessata è stata quella di Bordeaux e la parte meridionale dell’Esagono, con l’espianto di 9mila ettari di vigneti, il 9% dell’intera superficie vitata. Al tempo stesso, però, è stato varato un piano straordinario di ristrutturazione dei vigneti da 150 milioni di euro, che prevede anche la possibilità di espianto definitivo. Una pratica che potrebbe diventare prassi anche in paesi extra Ue, dalla California all’Australia.
Le reazioni alla proposta
La proposta degli espianti ha fatto storcere il naso a molti in Italia, soprattutto sul fronte dei produttori. Già al Vinitaly di quest’anno si era discusso del comparto della viticoltura che avrebbe protetto dallo spopolamento proprio le aree rurali, rappresentando un plus per la tutela del paesaggio. A dirlo una ricerca dell’Osservatorio Unione italiana vini svolta nei territori di Montalcino, Barolo e nell’area dell’Etna. Il CEEV, Comitato dei Vignaioli Europei, ha definito il vino come “una benedizione contro lo spopolamento rurale”.
Il concetto è stato ribadito anche da Lamberto Frescobaldi, presidente del consiglio nazionale di UIV (Unione italiana Vini). “Salvare il vigneto significa ripopolare le zone, togliere il vigneto significa tornare all’abbandono, chiediamo che un eventuale piano di abbandono dei vigneti possa essere considerato a condizione che siano esclusi i vigneti delle aree collinari e montane”. In merito alla questione dei fondi europei Frescobaldi ha ribadito che “oltre ad essere costati circa 3 miliardi di euro hanno favorito un progressivo spopolamento delle vigne in pianura”.
Contrario anche Federvini. La presidente Micaela Pallini richiede uno studio più approfondito “perché un vigneto non si può accendere e spegnere come una macchina, quello che chiediamo è che il sistema dovrebbe ragionare sul futuro, dove sta andando il mercato, così da poter aiutare l’agricoltore a piantare viti giuste”.
Anche Francesco Lollobrigida, ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare, non ha chiuso all’idea di “immaginare colture che sostituirebbero gli attuali vigneti”, ma ha anche ammesso che “ad oggi non c’è una richiesta in questo senso anche se si può lavorare per modulare una produzione di alta qualità”.
Silvio Detoma
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