Oidio della vite: soluzioni per una moderna difesa

Tra le ampelopatie più dannose, l'oidio può essere oggi controllato efficacemente adottando strategie mirate e ben programmate: scopriamo quali

da uvadatavoladmin
oidio-della-vite

Tra le fitopatie più dannose, l’oidio della vite è una delle più complesse da gestire. La diffusione dell’agente causale, infatti, può avere effetti severi sulla produzione, rappresentando – soprattutto in alcuni areali italiani – un vero e proprio incubo per i viticoltori. Oggi, però, adottando strategie mirate e ben programmate è possibile controllarlo efficacemente. A spiegarci come, nell’ultimo numero di Fruit Journal magazine, Marco Pierucci e Fabio Burroni dello studio associato Agronominvigna

Premessa

L’oidio della vite (Erysiphe necator) rappresenta una delle ampelopatie più dannose, poiché la sua diffusione all’interno del vigneto può compromettere la qualità e la quantità della produzione, oltre che influire negativamente sullo sviluppo e sul benessere generale della pianta.

In annate sfavorevoli può avere effetti severi sulla produzione e, soprattutto in alcuni areali del Centro e Sud Italia, rappresenta la malattia fungina più importante, diventando a volte un vero e proprio incubo per il viticoltore.

Considerato che per sconfiggere il nemico è essenziale conoscerlo bene, procediamo per gradi e cerchiamo di definire le migliori strategie di difesa.

Che cos’è l’oidio della vite

L’oidio è una malattia fungina diffusa in molte regioni del mondo, con un’ampia distribuzione geografica che comprende sia aree temperate, sia tropicali. Conosciuto anche come “mal bianco”, l’oidio è causato da Erysiphe necator, un ascomicete responsabile della formazione della caratteristica “muffa biancastra” sulle foglie, sui fusti e sui frutti delle piante infette. 

L’oidio fa la sua comparsa in Europa dapprima in Inghilterra nel 1845, poi nei vigneti del Nord della Francia, della Svizzera e dell’Italia settentrionale negli anni 1848-49. Di qui, si diffuse rapidamente in tutte le regioni viticole europee come uno dei tre flagelli viticoli del XIX secolo insieme con fillossera e peronospora, finché un tale Kyle, un giardiniere inglese, nel 1860 circa scoprì l’efficacia dello zolfo contro questa crittogama della vite. Tuttavia sembra che i viticoltori, a causa dei loro forti pregiudizi contro lo zolfo, ne abbiano ritardato per diversi anni l’uso in pieno campo.

Le condizioni ambientali favorevoli all’insorgenza dell’oidio includono temperature moderate (20-25 °C), umidità relativa elevata e scarsa circolazione dell’aria. Questi fattori creano un ambiente ideale per la germinazione e lo sviluppo delle spore, che si diffondono facilmente attraverso il vento.

La capacità di rapida propagazione rende l’oidio una sfida significativa per i viticoltori, che devono adottare misure di controllo preventive ed efficaci per proteggere i vigneti e preservare la salute delle piante.

oidio della vite su grappolo

Il ciclo biologico dell’oidio della vite

Il ciclo biologico dell’oidio della vite è caratterizzato da una serie di fasi chiave che influenzano significativamente la diffusione e la sopravvivenza di questo patogeno fungino. In primavera, quando le condizioni ambientali diventano favorevoli, avviene la germinazione delle ascospore, spore sessuate conservate all’interno dei casmoteci, strutture fungine di forma sacciforme, che svernano comunemente sul legno di un anno e che proteggono le ascospore fino al momento del rilascio.

Le spore, diffuse principalmente dall’azione del vento, colonizzano le piante ospiti e avviano il ciclo infettivo, costituendo quindi la fonte primaria di inoculo.

Dopo la germinazione, le spore – attraverso l’emissione di uno stiletto – penetrano nei tessuti verdi della pianta, come foglie e grappoli, dai quali “prelevano” i nutrienti necessari alla formazione del micelio che si sviluppa sulla superficie esterna, dando origine alla “muffa biancastra”.

Il micelio colonizza la superficie della pianta e forma strutture riproduttive chiamate conidi, che danno origine alle conidiospore, spore asessuate che continuano a diffondersi e a infettare altre parti della pianta. Questo processo si ripete ciclicamente durante la stagione, contribuendo alla rapida e pericolosa diffusione dell’oidio nel vigneto.

Verso la fine della stagione vegetativa, quando le condizioni ambientali diventano favorevoli (aumento umidità e diminuzione della temperatura), dal micelio si formano le strutture riproduttive sessuate, i casmoteci, che andranno a costituire l’inoculo per la stagione successiva arrivando a contenere fino a sei aschi, ciascuno con otto ascospore (spore sessuate).

Le differenze tra infezioni primarie e secondarie

Le infezioni primarie – per il verificarsi delle quali è sempre indispensabile una pioggia – si originano dalle ascospore rilasciate in più cicli infettivi dai casmoteci svernanti con il verificarsi di temperature di almeno 10 °C, precipitazioni (anche di soli 2,5 mm) e bagnatura fogliare di circa 15-20 ore. Le ascospore possono germinare sulla vegetazione con temperature da 5 a 28 °C, con un optimum di 20-25 °C, formando in poche ore gli appressori e gli austori. I primi sono organi specializzati nel far aderire il fungo al substrato dell’ospite, i secondi sono organi che penetrano nella superficie vegetale per consentire la nutrizione del fungo.

Le infezioni primarie, la cui incubazione è di circa 8-12 giorni a seconda delle temperature ambientali, causano la comparsa della malattia nel mese di maggio e fino ai primi di giugno. Queste infezioni subdole e poco evidenti, presenti soprattutto sulle foglie più vicine al tronco, purtroppo spesso passano inosservate aumentando enormemente il potenziale di inoculo del fungo.

I cicli infettivi secondari sono generati dai conidi (spore asessuate) prodotti dal micelio sviluppatosi durante le infezioni primarie. I conidi danno così origine alle infezioni secondarie con temperature comprese tra 5 e 35 °C, con un optimum di 20-25 °C, ma a differenza delle ascospore la loro germinazione viene ostacolata dalla pioggia e dalla bagnatura fogliare a causa del relativo dilavamento cui possono essere sottoposti. Anche la radiazione solare ne ostacola lo sviluppo e tutte queste caratteristiche portano la malattia a prediligere la localizzazione all’interno della chioma, dove il fungo trova il perfetto equilibrio tra ombreggiamento e umidità. Quindi, le condizioni meteorologiche ottimali per le infezioni primarie primaverili da ascospore sono opposte a quelle necessarie per le infezioni secondarie da micelio e da conidi che si verificano successivamente.

In ogni caso, le infezioni primarie e secondarie nella fase epidemica possono accavallarsi le une alle altre e l’esito è la comparsa di una muffa biancastra su vegetazione e grappoli, con una sintomatologia stavolta molto ben riconoscibile.

Sintomatologia su vite

L’oidio, che colpisce tutti i tessuti verdi della vite, nella sua fase iniziale si manifesta con la comparsa di piccole macchie biancastre sulla pagina superiore della foglia, che possono progredire fino a colonizzare e ricoprire completamente la foglia stessa, ostacolando la fotosintesi e compromettendo il normale sviluppo della pianta.

I maggiori danni, però, si riscontrano sui grappoli, dove – a seguito dell’iniziale formazione di macchie bianche – se non vengono effettuati interventi tempestivi, la rapida colonizzazione del grappolo può comprometterne la maturazione, portando a una riduzione della qualità e della quantità.

In caso di forti infezioni, a causa delle ferite nel tessuto epidermico dell’acino derivanti dalla penetrazione del patogeno, gli acini possono rompersi durante la fase di distensione cellulare, aumentando il rischio di contaminazione da muffe, marciumi secondari o infezioni batteriche, con un ulteriore decremento della quantità e della qualità della produzione.

L’oidio rappresenta quindi una minaccia particolarmente grave, soprattutto per i produttori di uva da tavola, poiché le macchie biancastre e la deformazione degli acini causate dal patogeno, possono compromettere l’aspetto estetico della bacca, riducendone drasticamente il valore commerciale.

oidio della vite su foglie

Giallo vs bianco: l’intramontabile utilità dello zolfo

Lo zolfo è ancora in gran parte insostituibile nella difesa antioidica, nonostante la vasta disponibilità di alternative tecniche presenti sul mercato dei fitofarmaci da qualche decennio a questa parte. L’azione anticrittogamica dello zolfo viene esercitata direttamente sul fungo attraverso un complesso meccanismo che porta alla disidratazione del micelio e a una sua morte veloce, noto come fenomeno di sublimazione cui l’elemento è sottoposto quando resta a contatto con l’aria e il calore. Per questo il suo impatto ambientale resta molto limitato. La sua dispersione nel suolo, inoltre, non solo non presenta problemi di accumulo, ma può essere specificamente utilizzata al fine di correggere gli elevati pH dei terreni alcalini, con il conseguente miglioramento della disponibilità dei microelementi che sono di solito difficilmente assorbibili dalle radici in presenza di calcare.

Lo zolfo – oggi estratto soprattutto dai combustibili fossili – è il principale e più antico mezzo di difesa contro gli oidii delle varie colture, ma risulta efficace anche per altre malattie fungine quali l’escoriosi della vite e numerose patologie dei cereali (septoriosi, fusariosi e ruggine). È inoltre caratterizzato da un’azione collaterale insetticida contro le neanidi degli afidi e dei tisanotteri e da un’azione acaricida contro gli acari eriofidi della vite.

L’azione antioidica dello zolfo comprende diverse azioni:

  • preventiva, perché impedisce la germinazione dei conidi;
  • curativa, perché devitalizza il micelio nella fase di incubazione;
  • eradicante, perché è in grado di devitalizzare il fungo anche a infezione ormai visibile.

L’azione fungitossica dello zolfo è basata sulla sua capacità di penetrare all’interno della cellula fungina, grazie alla sua liposolubilità, rompendo la membrana cellulare. Queste lesioni sulla membrana provocano la morte del fungo per disidratazione. L’attività dello zolfo è strettamente legata alla temperatura, all’umidità relativa ambientale e alla finezza delle particelle. Infatti, l’azione fungicida dello zolfo avviene grazie alla sua sublimazione, ovvero il fenomeno fisico che determina il suo passaggio diretto dallo stato solido a quello aeriforme. Di conseguenza, le basse temperature e l’elevata umidità ne riducono l’efficacia.

Lo zolfo può essere distribuito in miscela acquosa (trattamento liquido) o in polvere, anche se quest’ultima pratica sta perdendo di importanza. In ogni caso, la distribuzione in forma polverulenta deve essere ottimizzata sfruttando il principio della sublimazione precedentemente ricordato, quindi le bocchette di aspersione devono essere indirizzate verso il basso in modo da concentrare la massa distribuita sul suolo e non verso l’alto dove si favorirebbero la deriva e le conseguenze fitotossiche del trattamento, specialmente in caso di elevate temperature ambientali.

Per quanto riguarda la finezza delle particelle al di sotto del diametro di 15 µm, lo zolfo è attivo già a 10-12 °C, mentre per diametri via via superiori, che negli zolfi ventilati (in polvere) possono raggiungere i 150 µm, sono necessarie temperature di attivazione che arrivano fino a 18-20 °C.

In generale, negli zolfi tecnologicamente più evoluti destinati ai trattamenti liquidi il diametro delle particelle varia da pochi µm a un massimo di 10-14 µm. Esiste, tuttavia, un limite minimo relativo al diametro delle particelle al di sotto del quale lo zolfo causa danni da fitotossicità su vite. Infatti, le particelle di diametro inferiore a 2 µm risultano così piccole da riuscire a penetrare all’interno degli stomi causando l’ustione dei tessuti parenchimatici fogliari. 

Oidio della vite: strategie di difesa

In zone dove la diffusione della malattia è certa e costante è buona norma procedere con strategie di abbattimento dell’inoculo svernante. Il target principale sono i casmoteci la cui vitalità può essere limitata durante la loro fase di maturazione, ovvero alla fine dell’estate, con l’uso del fungo parassita Ampelomyces quisqualis, distribuendo almeno un paio di trattamenti con questo BCA (agente di biocontrollo) tra la fine di agosto e la fine di settembre.

Nella fase di gemma cotonosa, sempre a questo scopo, è consigliabile il trattamento al bruno con olio minerale attivato con zolfo di cui è possibile reperire in commercio un prodotto già combinato e stabilizzato, privo dei rischi che accompagnano le miscele estemporanee.

Le prime fasi di sviluppo vegetativo possono essere affrontate oltre che con il sempre valido zolfo bagnabile anche con Meptyldinocap, da sostituire successivamente con prodotti ad azione sistemica (Triazoli, Bupirimate e Spiroxamina) per migliorare la copertura della vegetazione in attiva crescita. I triazoli possono validamente accompagnare le fasi di formazione delle infiorescenze e l’allegagione, in alternanza con molecole a meccanismo d’azione diverso quali Fluxapyroxad e Strobilurine. Dall’allegagione in poi, con la presenza di cere sugli acini, sono più indicati prodotti caratterizzati da una spiccata affinità per le cere quali Ciflufenamid e Metrafenone, oltre a Fluxapyroxad ancora valido in queste fasi. Sul lato della difesa biologica, ma con piena validità anche in difesa integrata, nella fase di accrescimento degli acini e anche oltre la chiusura del grappolo, oltre all’onnipresente zolfo, è consigliabile anche l’uso di BCA specifici contro l’oidio quali Bacillus amyloliquefaciens MBI 600, Bacillus amyloliquefaciens FZB24, Bacillus pumilus QST 2808.

Lo zolfo può essere validamente coadiuvato da prodotti ad azione elicitoria quali Cerevisane, Laminarina e COS-OGA che consentono l’uso dello zolfo a dosaggi meno invasivi.

In caso di forti infezioni, il bicarbonato di potassio si è dimostrato un ottimo rimedio curativo in alternativa allo zolfo ad alte dosi. Tuttavia, nel caso di uva da tavola è necessario valutare attentamente gli effetti negativi sull’aspetto estetico delle uve che queste sostanze possono produrre.

oidio della vite difesa

Solo difesa fitosanitaria o un approccio strategico?

Abbiamo visto quanto siano importanti le condizioni climatiche per lo sviluppo di questo fungo soprattutto nella fascia dei grappoli, dove insolazione, vegetazione e umidità possono favorire lo sviluppo di questo ascomicete fino a compromettere la produzione. Sotto questo aspetto, una razionale conduzione agronomica della parete vegetale permette di ottenere condizioni microclimatiche che riducono notevolmente la capacità di sviluppo del fungo. L’eccessiva vigoria è uno dei fattori principali capaci di stimolare lo sviluppo di questo patogeno, sia per l’eccesso di vegetazione nella fascia dei grappoli, sia per la creazione di ambienti ombrosi ed umidi nella stessa zona. Equilibrate fertilizzazioni sono la base di una strategia appropriata per affrontare questa malattia.

Del resto, sfogliature precoci, volte a ridurre la compattezza della vegetazione e la salubrità della fascia produttiva, sono una pratica ormai diffusa e percorribile anche meccanicamente. Le sfogliature tardive a ridosso della maturazione finale sono da considerarsi esclusivamente di soccorso a causa della presenza già acclarata della malattia o di una sua elevata pressione. Le sfogliature eseguite a ridosso dell’invaiatura, invece, sono generalmente da evitare per il rischio di scottature presenti in questa fase fenologica delicata.

La regolazione della vegetazione, ottenuta attraverso le operazioni colturali della “palizzatura” o “pettinatura”, a seconda delle varie zone viticole italiane, può fare la differenza. Disporre di una parete regolarmente distribuita all’interno di gabbie e fili permette infatti di partire col piede giusto. Le pratiche della scacchiatura e della sfemminellatura precoci permettono di ottenere una parete regolare e facilmente inseribile all’interno dell’armatura: questo risultato è più rilevante nei cordoni speronati che nei guyot, dove  la distribuzione parallela al filare dei vari punti vegetativi permette di avere fin dall’inizio una separazione maggiore della vegetazione ed un minor numero di strati fogliari interni e indesiderati.

Solo attraverso l’unione di una consapevole e sostenibile difesa fitosanitaria con un approccio agronomico serio e complesso si potrà ottenere un risultato soddisfacente dai nostri investimenti.

Conclusioni

Forse per l’oidio la disponibilità di sostanze attive con meccanismi diversi è maggiore oggi rispetto a pochi decenni fa, diversamente da quanto accaduto per la peronospora. Resta in ogni caso una malattia pericolosa e distruttiva da non sottovalutare; tuttavia, adottando strategie complesse sulle varie fasi del ciclo biologico del fungo, compresa quella degli organi svernanti in formazione, è possibile controllarlo efficacemente. I BCA e le sostanze ad azione elicitoria rappresentano una valida alternativa ai fungicidi di sintesi e allo zolfo se adottati secondo le loro reali potenzialità e non quali meri sostituti dei fungicidi di sintesi. È necessaria quindi una buona cultura fitoiatrica, aggiornata e di ampie vedute, per applicare i nuovi ritrovati che, come tutte le novità, devono essere compresi sia nei loro aspetti di efficacia sia nei loro lati deboli.

In ogni caso, l’adozione di queste soluzioni naturali può rappresentare un valido strumento sia per diminuire il rischio dei fenomeni di resistenza del fungo ai fungicidi chimici sia per ottenere uve dall’ottimo profilo residuale.

 

A cura di: Marco Pierucci e Fabio Burroni
© fruitjournal.com

 

Articoli Correlati