Con l’arrivo dell’autunno, i campi del Mediterraneo si animano di squadre impegnate nella raccolta delle olive, culmine di un’annata di cure colturali e attenzioni che permettono alle piante di garantire una produzione di qualità. Tuttavia, il lavoro per mantenere la salute degli olivi non termina con la raccolta. Subito dopo, è importante dedicarsi a interventi preventivi contro alcune avversità biotiche, indispensabili per proteggere le piante e preservare le produzioni future. Tra le malattie più comuni negli oliveti mediterranei, la rogna dell’olivo è una patologia che spesso viene sottovalutata, ma che richiede invece un approccio di gestione integrata per ridurre la sua incidenza in campo. Quali sono, quindi, le strategie migliori per contrastare questa minaccia e assicurare oliveti in salute per il prossimo ciclo produttivo?
Prima di entrare nel merito delle strategie di gestione della rogna dell’olivo, è essenziale approfondire l’agente causale e la sintomatologia che questa malattia provoca sulle piante.
La rogna dell’olivo è una patologia comune, diffusa in tutte le aree di coltivazione dell’olivo, ed è causata dal batterio Pseudomonas savastanoi pv. savastanoi. Questo batterio penetra nei tessuti della pianta sfruttando ferite e lesioni, rendendo fondamentali i trattamenti preventivi dopo potatura e raccolta. Per spostarsi, il batterio necessita di acqua, utilizzando un mezzo liquido come veicolo di diffusione; una volta entrato, si sposta lungo i vasi linfatici e xilematici, raggiungendo anche aree distanti dal punto di penetrazione.
Un aspetto cruciale dell’epidemiologia di P. savastanoi è la sua popolazione epifitica, che risiede stabilmente sulla chioma dell’olivo. La densità di questa popolazione è minima tra febbraio e marzo, per poi aumentare progressivamente con l’arrivo della primavera fino a giugno e diminuire durante i mesi estivi, quando le temperature diventano elevate. Con il ritorno delle temperature più miti, nei mesi di settembre e ottobre, la densità del batterio riprende a crescere. Questi due periodi – primavera, dopo la potatura, e inizio autunno, subito dopo la raccolta – rappresentano i momenti di maggiore rischio infettivo, in cui le piante sono più esposte alla penetrazione e diffusione della rogna.
Sintomatologia e danni della rogna dell’olivo
L’espressione sintomatologia rilevabile sulle piante infette è causata da una proliferazione delle cellule vegetali, stimolata dalla secrezione di acido indolacetico, una sostanza ormonale prodotta dal batterio P. savastanoi grazie a specifici geni. La proliferazione delle cellule del cambio – che costituiscono il tessuto meristematico secondario – porta alla formazione di escrescenze inizialmente lisce e di consistenza erbacea (galle), che successivamente si lignificano, si crepano e assumono il nome di tubercoli. I sintomi causati da P. savastanoi non si limitano solo ai rami, poichè possono manifestarsi anche su foglie e peduncoli. Tuttavia, data l’assenza dei tessuti cambiali sulle foglie, la proliferazione delle cellule su questi organi risulta meno evidente. Sui frutti, invece, il batterio può penetrare attraverso le lenticelle, provocando la comparsa di tacche perilenticellari, soprattutto su varietà con elevato numero di lenticelle.
Tale malattia ha effetti negativi sia sulla quantità che sulla qualità della produzione:
- a livello quantitativo i danni sono intuitivi perché in presenza di tubercoli, la probabilità di fruttificazione da parte dei rametti infetti è quasi del tutto nulla e i pochi frutti allegati presentano una resa in olio nettamente inferiore;
- da un punto di vista qualitativo, invece, l’olio che si ottiene da piante fortemente interessate dall’infezione batterica presenta alterazioni di natura organolettica, con sapore amaro tendente al rancido.
Prevenzione e gestione del patogeno
La prevenzione è il primo passo per contenere la diffusione della rogna dell’olivo e preservare la salute degli oliveti. Un approccio di gestione integrata permette di adottare una serie di pratiche che agiscono in modo complementare per ridurre l’incidenza del patogeno e limitare le condizioni favorevoli alla sua proliferazione. Questo approccio include misure colturali e preventive che, affiancate all’uso mirato di trattamenti specifici, come il rame, offrono un controllo più efficace e sostenibile della malattia, mantenendo la vitalità delle piante stagione dopo stagione.
Tra le pratiche più efficaci da mettere in atto in un contesto di gestione integrata si evidenziano:
- il mantenimento delle piante nelle migliori condizioni vegetative, evitando eccessi di concimazioni azotate che promuovono il lussureggiamento delle piante;
- il ricorso a irrigazioni razionali per prevenire la filloptosi fuori stagione;
- la rimozione dei rami gravemente colpiti dalla malattia;
- la protezione delle piante dal gelo .
Un ulteriore elemento di rilievo è la scelta varietale. Come riportato in letteratura, alcune varietà, come la Coratina, hanno mostrato una certa tolleranza al patogeno. Tuttavia, questa cultivar è anche particolarmente sensibile al freddo, un fattore predisponente per l’insorgenza della rogna. Pertanto, è importante distinguere tra resistenza all’agente patogeno e resistenza ai fattori ambientali che favoriscono l’infezione.
In conclusione, la rogna dell’olivo richiede una gestione attenta e integrata per preservare la salute degli oliveti mediterranei. Accanto ai trattamenti con rame, risultano fondamentali pratiche preventive come la rimozione dei rami infetti, l’irrigazione razionale e la protezione dal gelo. Un approccio equilibrato e sostenibile è la chiave per contenere questa malattia, proteggendo sia la qualità della produzione sia la longevità delle piante.
Donato Liberto
© fruitjournal.com