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Al fine di rendere disponibili dati utili all’aggiornamento della valutazione del rischio fitosanitario per la lista degli Organismi nocivi prioritari, il 27 gennaio scorso l’EFSA, su mandato della Commissione Europa, ha pubblicato un rapporto con le informazioni aggiornate su diffusione e impatto economico-ambientale di Xylella fastidiosa e altri organismi nocivi (Arrhenodes minutus, Bactericera cockerelli, Dendrolimus sibiricus, Nepovirus myrtilli, Polygraphus proximus, Popillia japonica, Ralstonia pseudosolanacearum, Spodoptera frugiperda, Thrips palmi).
Nello specifico, Xylella fastidiosa è uno dei batteri fitopatogeni più pericolosi al mondo, responsabile di gravi danni a colture fondamentali per l’economia e il paesaggio mediterraneo, come ulivi, mandorli, viti e agrumi. Secondo il rapporto dell’EFSA (2025), il batterio è stato identificato come uno dei principali candidati tra i parassiti da quarantena prioritari dell’Unione Europea, con conseguenze economiche e ambientali potenzialmente devastanti.
Xylella fastidiosa: un’espansione rapida e difficile da contenere
Una delle caratteristiche più insidiose di Xylella fastidiosa è la sua capacità di diffondersi rapidamente attraverso insetti vettori, come la sputacchina media (Philaenus spumarius), particolarmente attiva nei climi mediterranei. Il rapporto evidenzia che il batterio è già presente in Italia, Francia, Spagna e Portogallo, con un alto rischio di ulteriore espansione nelle regioni meridionali dell’UE.
Secondo gli esperti dell’EFSA, la velocità di diffusione del batterio varia tra 0,1 e 8 km all’anno, a seconda della densità degli insetti vettori e delle condizioni climatiche locali. Inoltre, il periodo di latenza della malattia – ovvero il tempo che intercorre tra l’infezione e la manifestazione dei sintomi – può durare da 2 a 8 anni, rendendo particolarmente difficile il contenimento dell’epidemia. L’analisi del caso pugliese, dove Xylella fastidiosa è stata probabilmente introdotta intorno al 2008, sebbene ufficialmente riconosciuta solo nel 2013, dimostra quanto la sua individuazione possa essere tardiva, favorendo la diffusione silenziosa del batterio su ampie superfici agricole.
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Mappa di distribuzione di Xylella fastidiosa (EPPO, 2024) a partire dal 10 dicembre 2024. Fonte: Efsa
Danni economici e ambientali: l’ulivo tra le colture più colpite
Il documento dell’EFSA analizza l’impatto del batterio sulle principali colture, con particolare attenzione agli ulivi, che risultano tra le piante più vulnerabili. I dati mostrano differenze significative tra uliveti a bassa e alta suscettibilità.
Nel caso di uliveti giovani e ben gestiti (<60 anni), le perdite di produzione sono stimate tra il 3 e il 45%, con una media del 25% nei casi più comuni. La presenza di varietà meno suscettibili e di una gestione agronomica efficiente può ridurre significativamente l’impatto del batterio.
Molto più elevate risultano invece le perdite negli uliveti secolari (>60 anni), con una percentuale che varia tra il 25 e l’85%, attestandosi attorno a una media del 60%. Gli uliveti più vecchi, spesso privi di una gestione intensiva, risultano particolarmente vulnerabili e difficili da proteggere.
A riguardo, viene preso in esame il caso della Puglia, dove tra il 2016 e il 2018 si stima che la regione abbia perso 29mila tonnellate di olive, per un danno economico di 390 milioni di euro, pari al 10% della produzione italiana. Questo fenomeno, se non contenuto, potrebbe replicarsi in altre regioni mediterranee.
Gli effetti sugli altri comparti agricoli
Anche i mandorleti sono a rischio, soprattutto quelli non irrigati. L’EFSA riporta che nei mandorleti irrigati della California l’incidenza della malattia è inferiore al 2%, mentre nelle coltivazioni non irrigate delle Baleari può arrivare al 78%, con una perdita produttiva che nei casi più gravi può azzerare il raccolto. Questo dimostra che la gestione idrica è un fattore chiave per mitigare i danni della malattia.
Per quanto riguarda la vite, il rischio è più contenuto, ma la malattia potrebbe comunque causare perdite significative. Il batterio, infatti, può ridurre la produttività di interi vigneti, compromettendo la qualità dell’uva e la resa delle piante infette. È il caso della California, dove Xylella, già presente, sta rendendo la gestione del problema particolarmente complessa.
Grazie alla minore attrattività per gli insetti vettori, sembrano invece meno suscettibili alla malattia gli agrumi, sebbene rimane il rischio di infezioni localizzate che potrebbero avere un impatto negativo sulla produzione.
Un problema ambientale oltre che economico
Oltre al danno diretto alle colture, la diffusione di Xylella fastidiosa comporta una serie di impatti ambientali. Questi vanno dalla perdita di biodiversità, soprattutto nelle aree colpite da abbattimenti massivi di piante infette, all’aumento dell’impiego di fitofarmaci, necessari per contrastare gli insetti vettori, con effetti potenzialmente negativi su suolo e acqua. Non va tralasciato poi l’impatto sul paesaggio rurale, con la scomparsa di ulivi secolari e la necessità di riconversione agricola.
Strategie di contenimento: la sfida del futuro
Ad oggi, non esiste una cura per Xylella fastidiosa. Il controllo del batterio si basa su misure di prevenzione e contenimento che comprendono:
- eradicazione delle piante infette, che – seppur drastica – è una delle poche strategie efficaci per limitare la diffusione;
- monitoraggio e sorveglianza, essenziali per evitare epidemie fuori controllo;
- controllo degli insetti vettori attraverso la gestione della vegetazione spontanea e l’uso di trattamenti mirati utili a ridurre la trasmissione della malattia;
- sviluppo di varietà resistenti, al momento unica possibile soluzione a lungo termine per contrastare il problema.
Una lotta ancora aperta
Com’è noto, Xylella fastidiosa rappresenta una delle più grandi sfide per l’agricoltura europea. Il rischio di una sua ulteriore espansione è elevato e, senza un’efficace strategia di contenimento, potrebbe compromettere in modo irreversibile colture simbolo del Mediterraneo. A conferma questo rapporto dell’EFSA che sottolinea ancora una volta l’urgenza di azioni coordinate tra governi, istituzioni scientifiche e agricoltori per fermare il batterio e proteggere il patrimonio agricolo europeo.
L’esperienza della Puglia dimostra che il tempo è un fattore critico: più si ritarda l’intervento, più difficile sarà fermare la malattia. La battaglia è ancora aperta, ma solo un approccio integrato e sostenibile potrà evitare un disastro ecologico ed economico su scala continentale.
Ilaria De Marinis
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