Biostimolanti in agrumicoltura contro gli stress abiotici

Considerata la sensibilità degli agrumi a molti stress ambientali, sempre più produttori del comparto sembrano oggi indirizzati verso un maggiore impiego di biostimolanti. Ma quali sono i loro benefici sulla produzione?

da f.delvecchio
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Il termine “biostimolante”, apparentemente nuovo, è stato utilizzato per la prima volta nel 1997 da Zhang e Schmidt della Virginia Polytechnic Institute and State University, i quali definirono biostimolanti le “sostanze che applicate in piccole quantità promuovono la crescita delle piante”. Oggi, con il termine biostimolante si identificano quelle sostanze o microrganismi che – somministrati a piante, terreno o semi – hanno lo scopo di migliorare l’efficienza d’uso dei nutrienti nelle piante o la loro disponibilità nel suolo e nella rizosfera. Altri effetti dichiarabili (Claim) sono l’aumento della tolleranza a stress abiotici e il miglioramento della qualità delle produzioni.

Il crescente successo di tali prodotti è parzialmente legato all’uso non razionale di elevate quantità di fertilizzanti di sintesi, che ha provocato la perdita di fertilità del suolo. Infatti, i suoli sono stati lungamente considerati come un mero contenitore la cui funzione era quella di supporto alla produzione vegetale. Lo sviluppo dei metodi di produzione ecocompatibili e il relativo interesse da parte dei consumatori, unitamente alla doverosa rivalutazione del suolo, considerato come un sistema vitale capace di fornire servizi ecosistemici, sono alla base della constatazione che il mercato dei biostimolanti sia in crescita nell’ambito degli “innovativi” mezzi tecnici per l’agricoltura

Il mercato dei mezzi tecnici e i biostimolanti 

Come tutti i prodotti utilizzati in agricoltura, i biostimolanti devono essere esplicitamente ammessi dalla normativa di riferimento, il Decreto Legislativo n° 75 del 29 aprile 2010 “Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti”. Per tali prodotti, inoltre, è obbligatorio riportare in etichetta dosi d’impiego e modalità d’uso. Anche il recente Regolamento (UE) 2019/1009, che stabilisce le norme relative alla messa a disposizione sul mercato di prodotti fertilizzanti dell’UE, ha aperto il mercato unico dell’Unione Europea per i prodotti fertilizzanti in precedenza non disciplinati da norme di armonizzazione. Tra questi troviamo i biostimolanti delle piante, definiti anche dalla norma europea, come materiali che migliorano i processi nutrizionali delle colture, in particolare migliorandone l’utilizzo efficiente delle sostanze nutritive e la resistenza alle condizioni ambientali.

La matrice può derivare da materiali biologici e inorganici, da fermentazioni microbiche di materie prime animali o vegetali, macro e microalghe, microrganismi e micorrize. Vista la complessità ed eterogeneità delle matrici non è pensabile che esista un solo metodo di azione.

Gli effetti benefici dei biostimolanti non sono dovuti al loro contenuto di nutrienti, ma agli effetti regolatori sul metabolismo della pianta. Il loro successo è legato alla necessità di adottare strategie più sostenibili, integrando i sistemi colturali tradizionali con strategie e soluzioni eco-compatibili, in grado di preservare le risorse naturali e limitarne gli sprechi. Così come per tutti i fertilizzanti, per essere ammessi, incrementando la produttività delle colture, devono soddisfare la clausola di salvaguardia, cioè non devono causare alcun rischio di sicurezza per l’ambiente e la salute delle persone, degli animali o delle piante, contribuendo a un modello di intensificazione sostenibile delle colture agrarie.

I biostimolanti derivati da materiali naturali stanno riscuotendo un crescente interesse tra gli operatori e nella comunità scientifica, essendo considerati un efficace strumento green per migliorare la produttività. È stato dimostrato che i trattamenti al suolo o l’applicazione fogliare di biostimolanti migliorano l’attività antiossidante delle piante trattate, mitigando così gli effetti indotti dagli stress. Tale intervento può aumentare l’attività microbica ed enzimatica del suolo modificando la disponibilità dei micronutrienti o influenzando la struttura e l’attività dell’apparato radicale.

Recenti statistiche evidenziano un mercato dei biostimolanti in continua crescita. Da un report della Global Market Insights – GMI si evince infatti come la facilità di applicazione e il basso costo di manodopera ne determinino un uso sempre crescente. Per l’anno 2022 la quota di mercato destinata ai biostimolanti è stata stimata in circa 3 miliardi di USD, mentre le previsioni mostrano un incremento del 10,5 % nel 2032. Considerando la situazione mondiale, l’Europa è leader di mercato con la maggiore quota di ricavi, oltre il 38 % nel 2022.

Principali usi in agrumicoltura

Gli agrumi sono una delle colture arboree da frutto più diffuse a livello mondiale, sensibili a molti stress ambientali, tra cui la siccità, la salinità, la carenza di nutrienti, l’alto irraggiamento, il freddo, le elevate temperature e l’alta richiesta evapotraspirativa. L’impatto degli eventi estremi, innescati dai cambiamenti climatici, ha effetti negativi in particolare sulla quantità e qualità delle produzioni agrumicole, nonché effetti sulla crescita delle piante. Coltivati prevalentemente in aree soggette a deficit idrico, richiedono un’irrigazione di precisione, e anche allorquando l’acqua irrigua sia di buona qualità, l’uso di fertilizzanti aumenta la probabilità che i sali si accumulino nel terreno causando stress salino. Gli agrumi sono generalmente classificati come colture poco tolleranti, rispondendo negativamente all’alta salinità.

Da alcuni studi condotti in ambiente mediterraneo su piante di arancio Tarocco cv Sciara, in cui sono stati applicati biostimolanti a base di estratti di castagno (Castanea sativa Mill, CHT), è stato verificato che i trattamenti hanno comportato un aumento della produttività delle piante. I CHT hanno mostrato la capacità di potenziare la radicazione delle piante e di migliorare l’assorbimento di macro e microelementi. Infatti, si è registrato un miglioramento significativo con aumento della resa del 24% (Fig. 1).

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Figura 1. Effetto del trattamento con CHT sulla produzione di arancio Tarocco sciara

Nello stesso studio il biostimolante applicato è stato in grado di mitigare gli effetti dello stress idrico. Nel periodo estivo di massima richiesta evapotraspirativa, i trattamenti con CHT hanno determinato un leggero effetto di mitigazione delle piante trattate rispetto al controllo non trattato, così come mostrato dai rilievi sul potenziale idrico xilematico (SWP), soprattutto nelle piante sottoposte a maggiore stress idrico (Fig.2).

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Figura 2. Evoluzione del potenziale idrico xilematico (SWP) negli alberi trattati (CHT) e non trattati (controllo)

In un altro studio condotto su piante di clementine della cultivar SRA 63, in Grecia, l’applicazione fogliare di un prodotto biostimolante ha avuto diversi effetti positivi. È stato osservato un ritardo nella maturazione dei frutti, un aumento della consistenza della buccia, del contenuto di solidi solubili totali e dell’acidità totale. Inoltre, è stato provato che l’utilizzo di biostimolanti ha aumentato i composti bioattivi (acido ascorbico, fenoli totali e capacità antiossidante) e ha ridotto il decadimento dei frutti durante la shelf-life.

Prospettive e sviluppi

I biostimolanti, seppur in quadro normativo oggi ancora in definizione, sono strumenti utili per una gestione agronomicamente sostenibile dei sistemi frutticoli, sebbene il loro uso debba essere armonizzato nelle buone pratiche agricole, per non essere succedaneo all’utilizzo di prodotti per la protezione delle piante. La loro applicazione si è dimostrata in grado di ridurre gli effetti negativi sulla crescita vegetativa causati dagli stress abiotici, aumentando la resilienza delle colture al cambiamento climatico. Il successo di un trattamento biostimolante dipende però da molti fattori: la sua efficacia è fortemente influenzata dai fattori climatici e ambientali e sembra essere maggiore in condizioni estreme, considerando che, nell’ottica del claim, sono fondamentali le dosi e le modalità d’uso.

Alcuni autori hanno dimostrato che nei sistemi monocolturali in cui si utilizzavano sostanze biostimolanti, il risultato è stato una migliore resa e qualità dei prodotti agricoli. Tuttavia, risultati più efficienti sono stati ottenuti nei sistemi di consociazione colturale, dove l’aumento della flora microbica comporta il miglioramento delle caratteristiche del suolo, della tolleranza alle malattie e una produttività ottimale.

In una agrumicoltura moderna, gli agricoltori sembrano indirizzati verso un maggiore impiego di biostimolanti, adattando gli attuali sistemi agricoli a un modello di azienda climaticamente intelligente per il futuro, che sia allo stesso tempo resiliente e flessibile rispetto a un clima sempre più instabile. In questo contesto, il ruolo dei biostimolanti si dimostra interessante, perché si tratta di prodotti che vengono ricavati a partire da matrici naturali che, rispettando i criteri della sostenibilità ambientale, possono essere utilizzati anche dalle aziende che adottano tecniche agroecologiche.

Tra gli obiettivi futuri, vi è d’altronde la consapevolezza che il miglioramento della sostenibilità agricola dipenda dall’ottimizzazione delle tecniche, necessarie per garantire la produttività e soddisfare le crescenti richieste del futuro. Questa intensificazione sostenibile dipende dall’uso efficiente di input come nutrienti, acqua e prodotti per il controllo di patogeni e parassiti, in sinergia con l’uso di biostimolanti. L’eterogeneità delle categorie dei biostimolanti, precedentemente descritta, è tale anche nei meccanismi d’azione dei prodotti che intervengono a livelli diversi di regolazione dell’espressione fenologica delle piante. Per questo motivo è necessario conoscere al meglio i singoli prodotti al fine di poter selezionare i più efficaci nei diversi contesti pedoclimatici.

 

A cura di: Giancarlo Roccuzzo, Angela Randazzo, Fiorella Stagno (CREA OFA)
© fruitjournal.com

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