Biostimolanti: quali sono i più diffusi?

A trainare l’impiego e la diffusione di questi preziosi alleati la loro capacità di migliorare l'efficienza nutritiva e la resilienza agli stress delle colture. Ma quali sono i più diffusi?

da f.delvecchio
biostimolanti

L’agricoltura è chiamata ad affrontare la grande sfida di sfamare una popolazione mondiale in forte crescita, che nel 2050 si stima raggiungerà i 9,7 miliardi, in un contesto in cui la gran parte dei terreni utilizzabili è già coltivato e l’ulteriore incremento della superficie impiegata comporterebbe nuova deforestazione e gravi danni ambientali. Ci sono poi i sempre più pressanti temi della sostenibilità e del cambiamento climatico. Secondo la FAO, per adempiere al compito vocativo di sfamare la popolazione globale del 2050, l’agricoltura dovrà produrre il 60-70% in più con meno prodotti a disposizione, salvaguardando le risorse ambientali e la biodiversità. Oltre all’aumento delle rese, tuttavia, sarà necessario garantire la qualità dei prodotti e la salute dei consumatori. In quest’ottica, la riduzione della nutrizione minerale e l’aumento dell’efficienza d’uso dei nutrienti da parte delle colture, anche in condizioni pedoclimatiche subottimali, rappresentano una sfida chiave. I biostimolanti sono prodotti a base di sostanze e/o microrganismi che favoriscono la crescita e lo sviluppo delle piante, stimolando processi naturali e meccanismi endogeni, dalla germinazione dei semi fino alla raccolta. Questi prodotti migliorano l’assorbimento e l’efficienza nell’uso dei nutrienti, la tolleranza agli stress biotici e abiotici e la qualità dei prodotti. In particolare, i biostimolanti sono considerati una soluzione promettente per ridurre l’utilizzo di fertilizzanti, agendo sinergicamente su tre fronti: migliorano la biodisponibilità dei nutrienti nel suolo, stimolano la crescita radicale e l’assorbimento di acqua e nutrienti, e promuovono l’attività enzimatica legata all’assimilazione dei nutrienti.

Biostimolanti: storia e sviluppo 

L’uso del termine “biostimolante” risale al 1997, quando Zhang e Schmidt del Department of Crop and Soil Environmental Sciences della Virginia Polytechnic Institute and State University lo utilizzarono per descrivere sostanze come acidi umici ed estratti di alghe, in grado di promuovere la crescita delle piante a basse dosi. Nel 2007, Kauffman et al. ripresero il concetto, sottolineando la capacità dei biostimolanti di favorire lo sviluppo delle colture a basse concentrazioni e differenziandoli dai fertilizzanti. Inizialmente, i biostimolanti sono stati classificati in acidi umici, prodotti contenenti ormoni (es. estratti di alghe) e composti a base di amminoacidi.

Con la fondazione dell’European Biostimulant Industry Council (EBIC) nel 2011, si avviò un processo di classificazione basato su metodi analitici, finalizzato al riconoscimento legislativo di questa nuova categoria di prodotti. Nel 2012, Du Jardin propose una prima definizione di biostimolante: “Sostanze e materiali, differenti da nutrienti e fitofarmaci, che applicati a pianta, semi o substrato di crescita in formulazioni specifiche, modificano i processi fisiologici delle piante migliorando crescita, sviluppo e/o la risposta a stress”. Questa definizione portò alla prima classificazione europea dei biostimolanti, che includeva:

  • sostanze umiche;
  • materiali organici complessi;
  • elementi chimici benefici;
  • sali inorganici (inclusi i fosfiti);
  • estratti di alghe;
  • chitina e derivati del chitosano;
  • antitraspiranti;
  • aminoacidi e altri composti azotati.

Regolamenti e normative sui biostimolanti

Nel 2013, l’EBIC formulò una definizione più completa ed esaustiva: “I biostimolanti sono sostanze e/o microrganismi che, applicati alla pianta o alla rizosfera, stimolano i processi naturali migliorando l’efficienza di assorbimento e assimilazione dei nutrienti, la tolleranza agli stress abiotici e la qualità del prodotto. I biostimolanti non hanno effetti diretti su parassiti e patogeni e quindi non rientrano nella categoria dei fitofarmaci”.

In Italia il concetto di biostimolante è stato introdotto nel Decreto-legge 75/2010 (modificato nel 2013) nella sezione “Prodotti ad azione specifica sulla pianta – Biostimolanti”. Questa normativa riconosceva la capacità di tali sostanze non solo di favorire e regolare l’assorbimento dei nutrienti, ma anche di correggere anomalie fisiologiche.

Il Regolamento (UE) 2019/1009, pubblicato il 25 giugno 2019, ha armonizzato a livello europeo le norme relative alla messa a disposizione sul mercato (la fornitura di un prodotto fertilizzante dell’UE per la distribuzione o l’uso sul mercato dell’Unione nell’ambito di un’attività commerciale, a titolo oneroso o gratuito) dei biostimolanti, ispirandosi al principio dell’economia circolare. Il regolamento definisce un biostimolante delle piante come un prodotto fertilizzante dell’UE con la funzione di stimolare i processi nutrizionali delle piante indipendentemente dal tenore di nutrienti del prodotto, con l’unico obiettivo di migliorare una o più delle seguenti caratteristiche delle piante o della loro rizosfera:

  1. efficienza dell’uso dei nutrienti (assorbimento e/o utilizzo dei nutrienti disponibili nel suolo);
  2. tolleranza allo stress abiotico (tolleranza a condizioni ambientali avverse come temperature estreme, carenza o eccesso d’acqua);
  3. caratteristiche qualitative (qualità dei prodotti come sapore, colore e durata di conservazione);
  4. disponibilità di nutrienti contenuti nel suolo o nella rizosfera (aumento di nutrienti disponibili per le piante).

Le categorie di biostimolanti

In base al Regolamento UE, i biostimolanti sono classificati in due categorie principali:

  • biostimolanti microbici: costituiti da microrganismi o consorzi di microrganismi, includono i funghi micorrizici arbuscolari e i batteri promotori di crescita delle piante; 
  • biostimolanti non microbici: comprendono sostanze umiche, estratti di alghe marine, estratti vegetali, idrolizzati proteici e amminoacidi.

Quello dei biostimolanti rappresenta un settore in continua evoluzione scientifica e tecnologica. Tra i biostimolanti più diffusi e utilizzati in agricoltura spiccano gli estratti di alghe marine. Sebbene esistano migliaia di specie di alghe, solo alcune vengono impiegate per la produzione di biostimolanti, principalmente Ascophyllum nodosum (L.) Le Jolis, Ecklonia maxima (Osbeck) Papenfuss e Laminaria digitata (Hudson) J.V. Lamouroux (Figura 1).

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Figura 1. Principali specie di alghe marine impiegate per la produzione di biostimolanti.

Il processo di produzione degli estratti di alghe prevede la raccolta (manuale o meccanica), il lavaggio, il taglio e l’estrazione tramite idrolisi a freddo o a temperatura controllata, con o senza l’utilizzo di solventi. La concentrazione e la tipologia di sostanze attive presenti negli estratti di alghe dipendono da diversi fattori, tra cui la specie di alga, la fase di crescita, la stagione di raccolta e il processo di produzione. Quest’ultimo influenza in particolare il contenuto di regolatori di crescita. Pertanto, esiste una notevole variabilità tra biostimolanti derivati da specie di alghe diverse o ottenuti con metodi di estrazione differenti. Gli estratti di alghe agiscono come biostimolanti migliorando la velocità di germinazione, la crescita vegetativa, lo sviluppo radicale, l’allegagione, la produzione, la qualità del prodotto, la tolleranza a stress ambientali e l’assorbimento di macro e micronutrienti. Questi effetti in letteratura sono attribuiti alla presenza di polifenoli, polisaccaridi e fitormoni (auxine e citochine). 

Biostimolanti a base di sostanze umiche e idrolizzati proteici

Un’altra importante categoria di biostimolanti è rappresentata dalle sostanze umiche, in particolare gli acidi umici. Si tratta di macromolecole organiche complesse che si formano a seguito della decomposizione microbica di sostanza organica (vegetale o animale). Le sostanze umiche utilizzate nei biostimolanti provengono principalmente da giacimenti di humus fossile o da compost e vengono estratte mediante alcali e separate tramite acidificazione. Le sostanze umiche stimolano la crescita delle piante favorendo la rizogenesi, l’attività dei trasportatori radicali per l’assorbimento dell’azoto nitrico e l’attività degli enzimi coinvolti nella sua assimilazione. Inoltre, migliorano indirettamente la fertilità del suolo.

Gli idrolizzati proteici, miscele di amminoacidi e peptidi solubili, costituiscono un’ulteriore categoria di biostimolanti. La composizione amminoacidica e le proprietà del prodotto finale sono determinati dalle fonti proteiche da cui derivano che possono essere di origine animale (es. residui della lavorazione del cuoio, collagene, industria ittica) o vegetale (es. biomasse di leguminose). Attualmente, il mercato europeo degli idrolizzati proteici è dominato da prodotti di origine animale (≈90%). Le proprietà biostimolanti degli idrolizzati proteici si manifestano nel miglioramento dell’assorbimento e dell’assimilazione dei nutrienti, della tolleranza agli stress e della qualità del prodotto (Figura 2)

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Figura 2. Confronto tra controllo non trattato e trattamento fogliare con idrolizzato proteico di origine vegetale su mini-anguria (Citrullus lanatus) coltivata in pieno campo.

Biostimolanti microbici: PGPR e funghi micorrizici

I biostimolanti microbici promotori di crescita (PGPM) si distinguono in Plant Growth Promoting Rhizobacteria (PGPR) e funghi micorrizici arbuscolari (AMF). I PGPR rappresentano la quota dei batteri colonizzatori della rizosfera; tra i generi più studiati figurano Burkholderia, Bacillus, Pseudomonas, Serratia e Streptomyces e batteri azotofissatori (Azorhizobium, Allorhizobium, Bradyrhizobium, Mezorhizobium, Rhizobium, Sinorhizobium, Azospirillum, Azotobacter, Bacillus, Klebsiella spp.). L’idea di utilizzare biostimolanti microbici risale a diverse decine di anni fa, a partire dagli studi sui batteri del genere Azospirillum e sulla loro capacità di produrre auxine, stimolando la crescita radicale e migliorando la nutrizione azotata di cereali. Questi biostimolanti svolgono funzioni chiave nell’interazione pianta-suolo, contribuendo a processi quali l’azoto-fissazione, la solubilizzazione del fosforo, l’assorbimento dei nutrienti e l’assorbimento di nutrienti nel suolo. Studi biochimici, molecolari e fisiologici hanno dimostrato che questi microrganismi possono aumentare la tolleranza delle piante agli stress inducendo l’attivazione di meccanismi endogeni di risposta a stress abiotici e biotici. I meccanismi d’azione e i percorsi metabolici coinvolti comprendono la modulazione ormonale, il bilanciamento dello stato ossidativo cellulare, il miglioramento dell’efficienza d’uso dell’acqua (WUE), dell’efficienza fotosintetica e dell’efficienza d’uso dei nutrienti (NUE). 

Gli AMF formano associazioni simbiotiche radicali (micorrize) con le piante migliorando l’assorbimento dei nutrienti, la tolleranza agli stress abiotici e la resistenza a patogeni e insetti. Ampiamente utilizzati in agricoltura, gli AMF più diffusi includono Rhizophagus intraradices e Funneliformis mosseae (precedentemente classificati nel genere Glomus). L’attività biostimolante degli AMF è associata principalmente al miglioramento della nutrizione delle piante. Le micorrize formano una rete di ife esterne che amplia la superficie assorbente e il volume di suolo esplorato dalle radici, aumentando così l’assorbimento dei nutrienti (Figura 3).

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Figura 3. Confronto tra controllo non trattato e trattamento inoculato con biostimolante microbico (AMF, Rhizophagus intraradices) su zucchino (Cucurbita pepo L.).

Prospettive future

L’azione biostimolante dei PGPM è stata studiata sia singolarmente che in consorzi microbici o in combinazione con matrici organiche. Nonostante le numerose ricerche che hanno comprovato i benefici dei biostimolanti microbici, sono necessari ulteriori studi per definirne l’efficacia in relazione a coltura, suolo e condizioni climatiche. Studi scientifici suggeriscono che i microrganismi isolati dal microbioma della pianta ospite siano più efficaci rispetto a inoculi non endogeni. Inoltre, la competizione tra microflora endogena e ceppo inoculato può limitarne l’efficacia biostimolante. La caratterizzazione dei microrganismi associati alle piante, utilizzando tecnologie di sequenziamento avanzate, consente oggi la selezione dei ceppi più promettenti. 

 

A cura di: Antonio Pannico e Stefania De Pascale – Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II
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