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I nematodi galligeni (Meloidogyne spp.) rappresentano una delle principali minacce per la coltivazione del pomodoro (Solanum lycopersicum). Appartenenti ai nematodi fitoparassiti, questi fitogagi infestano le radici delle piante, inducendo la formazione di galle che compromettono l’assorbimento di acqua e nutrienti. La loro diffusione è globale, ma è particolarmente problematica nelle regioni a clima caldo e temperato. Tra le principali conseguenze, particolarmente significativo è l’impatto economico: i nematodi galligeni del pomodoro, infatti, possono fortemente pregiudicare la resa produttiva e la qualità dei frutti, rendendo necessario l’adozione di strategie di gestione integrate e dunque costi più elevati a fronte di produzioni sotto la media.
I nematodi galligeni del pomodoro: caratteristiche, ciclo biologico
I nematodi galligeni sono organismi microscopici appartenenti al genere Meloidogyne, che comprende una gamma di specie tra cui Meloidogyne incognita, M. javanica e M. arenaria, tutte note per il loro elevato potenziale infestante. Il loro ciclo vitale comprende cinque stadi di sviluppo: uovo, quattro stadi larvali e adulto. Le larve di secondo stadio, la fase infestante, emergono dalle uova nel suolo e penetrano nelle radici delle piante ospiti. Una volta all’interno del tessuto radicale, migrano verso il cilindro centrale e inducono modificazioni istologiche attraverso la secrezione di effettori proteici, causando la formazione delle caratteristiche galle radicali.
Stando a quanto riportato da alcuni studi, i nematodi galligeni stabiliscono un’interazione compatibile con la pianta ospite mediante la formazione di cellule giganti multinucleate, che servono da fonte nutritiva per il parassita per tutto il suo ciclo vitale. Queste alterazioni fisiologiche compromettono l’assorbimento di acqua e nutrienti, portando a sintomi di stress idrico e nutrizionale, anche in condizioni di irrigazione e fertilizzazione ottimali. Dopo diverse mute, il nematode raggiunge lo stadio adulto: le femmine rimangono sessili all’interno della radice e depongono le uova in una matrice gelatinosa sulla superficie radicale. Il ciclo può completarsi in 25-30 giorni in condizioni ambientali favorevoli, agevolando nuove, rapide infestazioni del suolo e aumentando la difficoltà di gestione del parassita.
Quali danni provocano
L’infestazione da nematodi galligeni determina una serie di danni diretti e indiretti alle piante di pomodoro. I primi – come anticipato – derivano dalla formazione di galle radicali, che ostacolano l’assorbimento di acqua e nutrienti, compromettendo la crescita della pianta. Ciò si traduce in sintomi visibili come clorosi, appassimento e ridotto sviluppo vegetativo, con conseguente calo della produzione e della qualità dei frutti.
I danni indiretti, invece, includono l’aumento della suscettibilità della pianta ad altri patogeni del suolo, come funghi e batteri opportunisti, che possono aggravare ulteriormente le condizioni di stress.
Per comprendere l’effettiva minaccia rappresentata da questi parassiti, si deve considerare che – in condizioni di elevata infestazione – le perdite produttive possono essere significative, con una riduzione della resa fino al 50% nei casi più gravi, rendendo essenziale un monitoraggio e una gestione efficace per limitare i danni economici.
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Le galle delle radici sono un sintomo caratteristico dell’infezione da nematode galligeno nei pomodori. Fonte: Bayer
Metodi di diagnosi e monitoraggio
Per limitare i danni e pianificare interventi efficaci, l’identificazione precoce dell’infestazione da nematodi galligeni può fare la differenza. Il primo segnale visibile è la presenza di galle radicali, rilevabili con un’ispezione diretta dell’apparato radicale delle piante sospette. Tuttavia, per una diagnosi più accurata, è necessario ricorrere ad analisi di laboratorio. Tra i metodi più utilizzati vi sono l’estrazione dei nematodi dal suolo mediante tecniche di flottazione-centrifugazione o Baermann funnel, che permettono di isolare larve e adulti per l’identificazione morfologica. A tal riguardo, metodi molecolari, come la PCR (Polymerase Chain Reaction), consentono di distinguere le diverse specie di Meloidogyne con elevata precisione, evitando errori di classificazione. Questi test sono fondamentali per determinare la specie presente e adottare strategie di controllo mirate. Un’altra pratica utile è il monitoraggio continuo delle colture tramite tecniche di imaging multispettrale e sensori di stress idrico in grado di rilevare precocemente sintomi di sofferenza delle piante, spesso correlati a infestazioni nematodiche. In ultimo, si può ricorrere all’utilizzo di trappole biologiche e bioindicatori del suolo così da valutare la densità di popolazione dei nematodi e pianificare di conseguenza strategie di gestione sostenibili.
Strategie di controllo e gestione
Nel complesso, il controllo dei nematodi galligeni richiede un approccio integrato che combini metodi agronomici, biologici e chimici. Tra le pratiche agronomiche, fondamentale è la rotazione colturale con specie non ospiti (come cereali o brassicacee), che consente di ridurre le popolazioni nematodiche nel suolo.
Per quanto concerne la lotta biologica, i metodi più diffusi includono l’impiego di nematodi antagonisti, funghi entomopatogeni come Paecilomyces lilacinus e batteri del genere Bacillus, capaci di ridurre la vitalità delle uova nematodiche; mentre per quella chimica, in casi di infestazioni gravi, ci si può avvalere di nematocidi chimici, sebbene in misura molto limitata per evitare impatti ambientali negativi.
Certamente, l’adozione di pratiche di gestione sostenibile, come la solarizzazione del suolo e l’uso di compost arricchito con sostanze organiche, e l’introduzione di varietà di pomodoro resistenti si confermano oggi le misure di lotta più valide per contrastare e ridurre l’azione di Meloidogyne spp.
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Ilaria De Marinis
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