Volumi disomogenei, resa ottimale: il bilancio della campagna olivicola calabrese

da Redazione FruitJournal.com
ulivo calabria campagna olearia 2020

Con Thomas Vatrano, agronomo e dottore di ricerca operativo tra Puglia e Calabria, abbiamo fatto il punto sulla campagna olivicola calabrese ancora in corso.

Vatrano si occupa della coltivazione e difesa di specie del Mediterraneo, con particolare riferimento al settore olivicolo-oleario. A questo si deve inoltre aggiungere l’attività di assaggiatore professionista di olio di oliva che vede il dott. Vatrano in prima linea all’interno della filiera per il miglioramento e il controllo della qualità dell’olio vergine di oliva.
 
Il 2020 su molti fronti è stato un anno da cancellare. Come può dirsi, invece, il bilancio per la campagna olivicola calabrese?
In termini di qualità dei frutti sicuramente il bilancio può dirsi positivo, tranne in alcuni areali della provincia di Vibo Valentia. Questa zona, infatti, essendo molto umida, ha favorito già da fine agosto attacchi da parte della mosca olearia. Fortunatamente, però, negli altri areali non è stato così: nella piana di Sibari, caratterizzata da caldo veramente torrido, la mosca si contiene anche grazie alle condizioni ambientali.
In termini di volumi è stata un’annata abbastanza disomogenea: nella “sibaritide” la quantità di olive è stata notevole, come pure nell’areale tirrenico-reggino, mentre è stata molto scarsa nel catanzarese e crotonese. Questi areali, infatti, sono molto disomogenei e frammentati anche nella produzione. Stesso discorso vale per il vibonese. Possiamo dire che, nel complesso, i risultati migliori sono stati quelli riportati sicuramente tra l’area di Sibari, l’alto-cosentino e la piana di Gioia Tauro.
 
Per l’argomento prezzi, è ancora presto per pronunciarsi: la campagna olearia è ancora in corso. Certamente, però, dal punto di vista qualitativo sarà un’annata interessante.
 
Anche rispetto al 2019 la stagione si prospetta davvero positiva: in termini di resa in olio, infatti, quest’anno registriamo qualche punto percentuale in più. D’altra parte, bisogna considerare che quella 2020 è stata un’annata siccitosa da agosto in poi, con due-tre eventi piovosi tra luglio e agosto che avevano lasciato ben sperare, però poi l’assenza di piogge, per un periodo di tempo così vasto, ha ridotto le piante ai minimi termini. Dal punto di vista della produzione olearia, questa mancanza di acqua all’interno del frutto ha tuttavia determinato un valore maggiore in olio.

 
A tal proposito, allora, quanto sta influendo il cambiamento climatico sulla coltivazione e produzione olivicola?
I cambiamenti climatici sono in atto e la coltura dell’olivo è forse la specie più sensibile. In diversi areali della Calabria, per esempio, nel periodo della fioritura si assiste a una nebbiolina che impedisce l’impollinazione incrociata di cui l’olivo ha costantemente bisogno, essendo una specie prettamente autosterile. Questo alto tasso di umidità che si presenta sin dalle prime ore del mattino, seguito subito dopo da forti escursioni termiche, con un innalzamento delle temperature crescente fino a mezzogiorno, provoca il disseccamento dei fiori. Talvolta i fiori seccano in fase di pre-fioritura; in altri casi si ha una bassissima allegagione e i fiori aperti si seccano successivamente. Nel contempo, il cambiamento climatico fa sì che vi sia una maggiore presenza di patogeni che un tempo erano considerati quasi minori.
La comunità scientifica avanza delle ipotesi abbastanza nefaste, qualora il riscaldamento globale dovesse aumentare ancora. Tra le varie ipotesi vi è una riduzione delle rese, per via della diminuzione delle piogge e dell’aumento termico, l’innalzamento della quota altimetrica della coltivazione dell’olivo e una modifica delle fasi fenologiche del frutto.
 
Si sono riscontrati altri problemi di natura fitopatologica che hanno rischiato di compromettere in qualche modo la campagna olivicola 2020?
No, fortunatamente non abbiamo riscontrato altri problemi.
Quello a cui si assiste da diversi anni, ormai, sono degli ingiallimenti nel periodo primaverile-estivo, che hanno destato non poche preoccupazioni. Tuttavia si è compreso che sono da attribuire a diversi fattori tra cui: ricambio naturale delle foglie, patogeni fungini, carenze nutrizionali, danni da ristagno idrico e stress ambientali.
 
Dal punto di vista delle pratiche agronomiche cos’è cambiato rispetto al passato?
Sicuramente rispetto al passato adesso si punta a un’agricoltura sostenibile che preservi e anzi implementi la fertilità del suolo. I suoli, infatti, sono stanchi e depauperati di sostanza organica a causa di errate pratiche agronomiche adottate nel tempo. Fortunatamente oggi, anche in olivicoltura, si ricorre a strategie fitoiatriche a basso impatto ambientale o a mezzi tecnici come gli induttori di resistenza.

Per concludere, quanto ha inciso la pandemia sul lavoro in campo o sulla gestione quotidiana della campagna olivicola?
Per fortuna almeno le attività agricole non si sono mai fermate. Tuttavia, un aspetto che sicuramente ha determinato degli svantaggi è da ricondurre al calo del lavoro delle strutture ricettive. Molte attività utili alla promozione del prodotto non sono più consentite. E non parlo solo del calo del numero di pasti preparati da bar e ristoranti, ma anche della cancellazione di passeggiate naturalistiche o incontri di degustazione. Una grave ripercussione anche per il turismo meridionale che in questo periodo, proprio grazie a questo prodotto, riusciva ad attirare molta gente, soprattutto nella fascia ionica-cosentina.
 
In definitiva, dunque, tra emergenza sanitaria, mosca olearia e cambiamenti climatici, la campagna olivicola calabrese sembra uscire indenne da questo 2020 e garantire un olio di ottima qualità sulle tavole degli italiani che, tra un assaggio e l’altro, potranno così assaporare quel po’ di positività e di fiducia che, mai come in questo periodo, appare così necessario.

 

Ilaria De Marinis
© fruitjournal.com

 

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