Alla vigilia della quarta edizione della Biostimolanti Conference, proponiamo un articolo estratto dall’ultimo numero del magazine relativo al regolamento che norma i biostimolanti.
Specialmente quando si tratta di prodotti ancora poco studiati come i biostimolanti, non sempre si riescono a conciliare innovazione e aspetti regolatori. Di qui l’analisi a cura di Mariano Alessio Vernì, direttore generale presso SILC Fertilizzanti Srl che, partendo da alcuni elementi di giudizio e valutazione, offre una panoramica aggiornata sulla tematica.
Il 25 giugno 2019 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il Regolamento (UE) 2019/1009 che è poi divenuto applicativo dal 16 luglio 2022.
Per la prima volta una norma UE ha dato la definizione di “Biostimolante delle piante” per qualunque prodotto che stimola i processi nutrizionali delle piante indipendentemente dal suo tenore di nutrienti, con l’unica finalità di migliorare una o più delle seguenti caratteristiche della pianta o della rizosfera della pianta.
Tra queste:
a) l’efficienza d’uso dei nutrienti;
b) la tolleranza agli stress abiotici;
c) le caratteristiche qualitative;
d) la disponibilità di nutrienti confinati nel suolo o nella rizosfera.
Nel nuovo regolamento troviamo i biostimolanti nell’allegato I che descrive tutte le categorie funzionali dei prodotti (PFC) e che divide i biostimolanti in due categorie: microbici e non microbici. I primi sono costituiti da un microrganismo o da un consorzio di microrganismi, gli altri semplicemente comprendono tutti i biostimolanti diversi da quelli microbici: ad esempio gli estratti vegetali o animali, i derivati da alghe e gli acidi umici.
Tornando alla definizione, in merito all’efficienza d’uso dei nutrienti, si tratta della capacità di assorbimento del suolo, di trasporto, mobilizzazione e utilizzo di macro, meso e/o microelementi, cioè dei nutrienti disponibili.
Cosa diversa è invece il miglioramento della disponibilità di nutrienti contenuti nel suolo o nella rizosfera: si fa riferimento a quei nutrienti che vengono sottratti dal pool dei nutrienti confinati per essere resi disponibili per le colture. Proseguendo, col termine stress abiotico ci si riferisce a temperatura, luce, danni meccanici, eccesso o carenza di acqua, stress chimici (fitotossicità, stress salini, pH), mentre relativamente alle caratteristiche qualitative è indispensabile fare una netta distinzione da quelli che sono i miglioramenti dovuti ad esempio all’uso dei fitosanitari. Nel caso dei biostimolanti, infatti, le caratteristiche qualitative includono fattori quali: resa per ettaro, attività fotosintetica, numero di fiori, biomassa, sostanza secca, shelf life, gradi Brix, uniformità di maturazione, colore, sapore, acidità, contenuto polifenolico, dimensione dei frutti e altro ancora.
In Europa, come era già accaduto in Italia, si è deciso di includere i biostimolanti tra i fertilizzanti, assieme a concimi, correttivi, ammendanti e substrati di coltivazione.
Anche se l’argomento è molto delicato, ad oggi il legislatore comunitario ha deciso di considerarli fertilizzanti e non fitosanitari. Proprio in questi ultimi anni, in Italia sono aumentati i controlli sui fertilizzanti volti a punire quelli le cui descrizioni in etichetta sono andate ben oltre la funzione nutritiva e per i quali è stata usata la terminologia tipica dei fitosanitari. Relativamente ai biostimolanti, ad esempio, la revisione del Farm Bill statunitense ha introdotto per la prima volta una definizione propria (molto simile a quella UE) di biostimolanti, ma li ha inseriti come “non-fitosanitari” sotto il controllo dell’autorità che oggi disciplina negli Usa gli agrofarmaci. Anche in India vengono richieste prove di tossicità ed ecotossicità tipiche appunto del comparto fitosanitario.
In ogni caso, guardando all’Italia, l’inquadramento dei biostimolanti tra i fertilizzanti comporta l’aliquota Iva agevolata del 4% (contro il 10% dei fitosanitari e il 22% dei prodotti generici) e, a ulteriore differenza tra le due categorie, non prevede nessun permesso/licenza/autorizzazione per commercializzarli o impiegarli. Inoltre, a differenza di altre categorie normate a livello UE, per i biostimolanti vengono richieste prove agronomiche a supporto della loro efficacia. Appaiono quindi evidenti i vantaggi, anche commerciali, derivanti dall’aver inserito i biostimolanti nella norma sui fertilizzanti.
È bene precisare che la norma comunitaria non manda in pensione le decine di leggi nazionali che già da molti anni regolamentano il comparto dei fertilizzanti.
In Italia, ad esempio, già dal 1984 esiste una legge locale che negli anni si è arricchita di nuove sezioni tra cui, dal 2006, anche quella dei biostimolanti.
Vediamo allora cosa prevede il Decreto legislativo 75/2010 in merito ai biostimolanti, sottolineando il fatto che gli operatori del settore (dal distributore all’hobbista) devono porre particolare attenzione quando ne acquistano uno. L’uso del termine “Biostimolante” è riservato, infatti, ai tipi di fertilizzanti elencati nell’allegato 6 (sezione 4.1) e la legge stabilisce persino che non è consentito dichiarare proprietà biostimolanti alla miscela di uno degli 11 tipi con altri fertilizzanti compresi nel decreto legislativo. L’invito a una maggiore attenzione al momento della scelta è quindi rivolto a tutti: suggeriamo di porre particolare cura nel controllare sempre bene le diciture per verificare la presenza o meno del termine “biostimolante” e la coerenza con la restante parte dell’etichetta e con l’aliquota Iva applicata. Abbiamo già spiegato che la definizione “Biostimolante” si può impiegare solo per alcuni fertilizzanti.
Nello specifico, dal 2006 solo per i prodotti disciplinati a livello nazionale e da luglio scorso anche per quelli che recano il marchio CE ai sensi del nuovo regolamento UE.
Non possiamo tuttavia trascurare tanti altri ottimi prodotti con funzione di coadiuvanti per la crescita e lo sviluppo delle piante. Generalmente si tratta di prodotti con Iva al 22% la cui descrizione richiama il concetto di biostimolante, anche se tale termine non viene espressamente utilizzato.
Diamo qualche consiglio a chi desidera prendere in considerazione qualcuno di questi prodotti. C’è una norma (D.Lgs. 206/2005 s.m.i. – Codice del Consumo) che si applica, appunto, per i prodotti che non sono oggetto di specifiche disposizioni. Trovare in etichetta un riferimento a questa norma è già un segno di accuratezza, ovviamente il nome dell’azienda e la sua “tradizione” in settori innovativi fanno il resto; sconsigliamo di affidarsi a società poco note, ditte individuali, aziende senza un proprio sito produttivo. La lettura dell’etichetta non deve limitarsi a quanto sopra, ma si deve prestare attenzione anche alla composizione, alla qualità delle materie prime utilizzate, alla presenza di indicazioni sui metodi di lavorazione ove questi possano essere determinanti per la qualità, insomma a tutte le caratteristiche merceologiche che aiutano a comprendere bene di cosa si tratta, come si usa e a che cosa serve il prodotto. Attenzione anche a indicazioni troppo generiche e poco circostanziate, relative all’impiego in agricoltura biologica.
I biostimolanti sono senza dubbio un’ottima opportunità dal punto di vista tecnico-commerciale, ma le insidie che si nascondono dietro a tale mercato sono altresì fonte di nuove preoccupazioni.
Il miglior consiglio resta sempre quello di rivolgersi ad aziende di affermata serietà, conosciute sul mercato anche dagli utilizzatori finali e con una rete di tecnici qualificati a supporto delle vendite.
Un approfondimento a parte lo meritano i prodotti utilizzabili su coltivazioni biologiche, poiché la norma italiana è chiara al riguardo: si possono utilizzare esclusivamente i fertilizzanti inclusi nell’allegato 13 del D.Lgs. 75/2010. Più specificamente il riferimento è contenuto nel comma 9 dell’articolo 4 del DM 20 maggio 2022 n. 229771, che detta le disposizioni nazionali per l’attuazione del regolamento UE sul bio. Il Reg. (UE) 2018/848 stabilisce che è consentito utilizzare unicamente, e solo nella misura necessaria, i concimi e gli ammendanti autorizzati a norma dell’articolo 24 per l’impiego nella produzione biologica, in sostanza quanto si ritrova nell’allegato II del Reg. (UE) 2021/1165. D’altra parte, l’Italia ha stabilito che, relativamente alla lista dei prodotti autorizzati, si possono usare solo i fertilizzanti che trovano spazio nella norma nazionale e che, ai sensi dell’allegato 13 del D.Lgs. 75/2010, sono registrati nel Sian.
D’altronde tutti sappiamo che gli Organismi di Controllo del Bio utilizzano il database del Sian come unico riferimento quando verificano le registrazioni degli operatori relative all’impiego di fertilizzanti.
La limitazione imposta a livello nazionale esclude automaticamente che un fertilizzante a marchio CE, disciplinato del Reg. UE 2019/1009, possa essere registrato nel Sian e, di conseguenza, nessuno dei nuovi e futuri biostimolanti a marchio CE potrà essere utilizzato su coltivazioni in regime biologico. Riteniamo che si debba al più presto intervenire sulla norma per evitare che ci sia questa evidente (e forse illegale) limitazione d’accesso al mercato dei fertilizzanti ammessi in biologico per i prodotti a marchio CE. Tutte le associazioni di categoria, da quelle di produttori e utilizzatori finali, passando per commercianti e cooperative, siedono ai tavoli in cui queste decisioni possono essere prese: ci devono essere unità d’intenti, buona conoscenza della materia e delle conseguenze derivanti da una limitazione che è solo italiana.
Torniamo ai biostimolanti e al marchio CE che, non appena saranno pronte le norme armonizzate (2025-2026), sarà garanzia di conformità. Allo stesso modo, la valutazione del prodotto e delle prove agronomiche che lo accompagnano viene affidata a organismi di notifica indipendenti. Aspetto che va a sottolineare il differente approccio sia rispetto ai “generici”, sia ai biostimolanti disciplinati solo a livello nazionale che, lo ricordiamo, non hanno dovuto superare nessuna verifica di efficienza agronomica.
In maniera molto sintetica, illustriamo i contenuti del dossier da presentare all’organismo notificato per la valutazione di un biostimolante che deve includere le prove che dimostrano gli effetti (claims) dichiarati in etichetta:
- le specifiche tecniche prevedono la divisione in tre gruppi di coltivazioni: estensive (cereali, patata, ecc.), frutticole (pomacee, vite, ecc.) e una grande famiglia che include ortaggi, ornamentali e piante officinali;
- delle rivendicazioni che si possono dichiarare abbiamo già scritto e il numero di prove da effettuare varia in funzione della coltura (singola o del gruppo) e degli effetti da dimostrare;
- si parte da almeno 3 prove necessarie a dimostrare un effetto per una coltura e si arriva a 9 prove quando la rivendicazione riguarda tutti e tre i gruppi di colture;
- se i claims da includere in etichetta non si riescono a dimostrare nella stessa prova, sarà necessario farne altre (3-6-9) a supporto di ciascun effetto;
- le prove si possono fare in pieno campo, in serra e in camera climatica;
- gli organismi di valutazione preferiranno le prove effettuate da centri di saggio, università, centri di ricerca (pubblici e privati), ma sono ammesse prove interne purché sia dimostrabile di aver operato secondo i requisiti richiesti dalle specifiche tecniche.
Concludendo, è chiaro che occorreranno alcuni anni prima che la diffusione dei biostimolanti sarà in grado di condizionare qualità e quantità delle produzioni agricole. Una cosa però è evidente: il loro uso consentirà inevitabilmente di ridurre l’impiego di altri mezzi tecnici con benefici non solo economici, ma anche di sostenibilità ambientale.
A cura di: Mariano Alessio Vernì
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