Tenutosi mercoledì 13 dicembre a Bari, il 35° Forum di Medicina Vegetale ha posto l’accento su molteplici tematiche. Tra queste, anche l’emergenza Xylella fastidiosa in Puglia, al centro dell’intervento di Donato Boscia – responsabile dell’Istituto per la protezione sostenibile delle piante (IPSP) del CNR.
Dalla prima individuazione di Xylella fastidiosa nel 2013 nell’agro di Gallipoli (LE), il batterio ha colpito circa il 40% della superficie regionale, traducendosi con circa 25.000 piante infette. I rallentamenti registrati fanno però ben sperare.
Come evidenziato dall’esperto, analizzando il trend degli ultimi 10 anni – a partire dall’individuazione della prima infezione del batterio – si registra un rallentamento significativo della diffusione del batterio verso la parte nord della zona infetta. Al tempo stesso, anche nella porzione meridionale (da Brindisi in giù), da almeno un paio di anni si assiste a una notevole attenuazione dell’impatto epidemiologico. Ciò è riscontrabile principalmente a livello delle piante sopravvissute all’epidemia nel basso Salento: i disseccamenti sono meno frequenti e di intensità inferiore rispetto al passato. Non solo. Da circa 2 anni sono in aumento le segnalazioni di remissioni dei sintomi nella vegetazione di olivi, anche in piante adulte di circa 60-70 anni. Questo fenomeno è più evidente nella cultivar Cellina di Nardò piuttosto che nell’Ogliarola salentina, a conferma di ciò, le testimonianze dei frantoiani che durante l’ultima campagna di raccolta si sono visti conferire presso i frantoi partite di queste varietà ormai quasi scomparse negli anni precedenti.
Cosa si intende per rallentamento dell’epidemia?
Mettendo a confronto la demarcazione ufficiale elaborata dall’autorità fitosanitaria, tra il 2018 e il 2023, è facile notare come rispetto a 5 anni fa l’ulteriore progressione dell’area demarcata come infetta si sia limitata nel tempo a pochi comuni del barese. All’interno dell’area di più recente introduzione del batterio patogeno è stata inoltre riscontrata una velocità di diffusione molto più bassa rispetto a quella registrata negli anni precedenti nella zona del basso Salento.
Come precisato dall’esperto, questo rallentamento deve essere preso come un incoraggiamento ad attuare in maniera ancora più incisiva le azioni di contenimento già in corso e una soluzione per avere una maggiore incisività nelle azioni rispetto a qualche anno fa, quando il batterio era molto più invasivo e rapido nel diffondersi.
Ma a cosa si deve questo rallentamento?
Alla base di questo minore avanzamento è possibile individuare diversi fattori. I principali, a detta dell’esperto, sono: clima, legislazione, sovrainnesti e popolazione del vettore.
- Clima: la subspecie Pauca – maggiormente presente nel territorio pugliese e principale causa dell’epidemia – è la più esigente da un punto di vista termico rispetto alle altre subspecie di Xylella fastidiosa. Osservando le mappe di rischio associate alle condizioni climatiche che sono state elaborate deall’EFSA, si nota come nella parte centrale della regione le condizioni climatiche, seppur non molto differenti, risultano leggermente meno ottimali rispetto a quelle del basso Salento. Basti pensare agli inverni nella zona di Gallipoli, sicuramente più miti rispetto a quelli caratteristici della costiera adriatica nel barese.
- Legislazione e metodi di controllo: rispetto a 10 anni fa – quando non si conoscevano le dinamiche di diffusione dello xilemomiza – c’è una migliore organizzazione delle azioni di contenimento, sia da un punto di vista legislativo (regionale e nazionale), oggi più agevole e sbrigativo, sia da un punto di vista prettamente pratico. Inoltre, grazie a una più ampia conoscenza delle caratteristiche del batterio e del suo vettore, si è in grado di garantire una maggiore tempestività nelle azioni volte al contenimento.
- Sovrainnesti: per contrastare la diffusione del batterio, di recente è stata introdotta la pratica dei sovrainnesti attraverso l’utilizzo di varietà resistenti come azione preventiva, soprattutto per le piante monumentali. Al momento questa pratica è ancora poco applicata, ma nel futuro prossimo rappresenterà di sicuro un ulteriore elemento utile a contenere la pressione di inoculo in alcune zone.
- Popolazione del vettore: è forse l’elemento più determinante. Almeno per quanto riguarda la Piana degli ulivi monumentali, stando ai dati ottenuti attraverso attività di monitoraggio, si registra una notevole diminuzione della popolazione dei vettori rispetto a quella che si riscontrava nel basso Salento.
Cosa è cambiato negli anni?
Allo stato attuale, secondo i dati raccolti dal sequenziamento di alcuni isolati del batterio fitopatogeno, non si segnalano mutazioni significative all’interno del genoma. Ragion per cui non sembra esser presente nel batterio la causa di questa sua minore aggressività.
Quello che, invece, data la minore carica di inoculo del batterio, è cambiato in maniera radicale negli anni è il quadro epidemiologico. La riduzione della popolazione di partenza di Xylella fastidiosa è attribuibile a diversi fattori:
- in diffusi disseccamenti, che – presenti all’interno dell’area infetta – rappresentano una quota di vegetazione non più in grado di essere infettatata dal batterio;
- le numerose estirpazioni di piante infette, a loro volta spesso sostituite con cultivar resistenti che, anche se infettate – contengono un più basso titolo batterico.
- la frequenza di incendi negli oliveti, soprattutto di quelli compromessi o abbandonati, che – pur non rappresentando un dato incoraggiante – ha comunque avuto un risvolto positivo nella riduzione della carica di inoculo iniziale di X. fastidiosa.
Quali potrebbero essere nel lungo termine gli sviluppi futuri?
Si sta lavorando da diversi anni sulla ricerca di cultivar resistenti. Al momento sono due le cultivar autorizzate dal servizio fitosanitario: Leccino e Favolosa. Dall’inizio di quest’anno, però, grazie ai maggiori finanziamenti da parte del Ministero dell’Agricoltura, aumenterà il numero dei centri di ricerca che si dedicheranno allo sviluppo di germoplasma resistente nei confronti di X. fastidiosa.
In merito alle varietà resistenti, al momento non ne sono state trovate altre. Tuttavia, qualche mese fa l’Organizzazione dei produttori olivicoli ha fatto richiesta al Servizio fitosanitario regionale per la verifica di due nuove cultivar: Lecciana e Leccio del Corno. “Queste sono due varietà che potrebbero attestare possibili potenziali di resistenza, ma le sperimentazioni non sono ancora state concluse – ha spiegato il prof. Boscia – pertanto non possono ancora essere considerate varietà resistenti”. Intanto, si è avviato un progetto di ricerca sull’identificazione di semenzali spontanei ottenuti attraverso libera impollinazione, presenti all’interno della zona infetta. In questo progetto di ricerca regionale – RESIXO – sono stati identificati come semenzali non sintomatici e negativi alle prime analisi 139 genotipi diversi che, una volta sottoposti a ulteriori controlli e test di patogenicità, sono stati ulteriormente scremati tenendo conto delle caratteristiche tecnologiche delle olive. I 4 genotipi ottenuti, al momento in fase di moltiplicazione, verranno quindi testati all’interno di diversi campi di prova per la caratterizzazione nei confronti delle diverse condizioni climatiche.
Nell’ottica di una continuo rallentamento dell’epidemia, appare dunque evidente come sia sempre più importante porre l’attenzione sulla ricerca e perseguire nelle azioni di contenimento. Ora più che mai è infatti indispensabile continuare lungo la strada intrapresa che, secondo i dati, lascia ben sperare in un controllo sempre più efficace di X. fastidiosa.
Donato Liberto
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