Noto anche come il sole del campo, il melone è simbolo di eccellenza e qualità della produzione ortofrutticola made in Italy. Dietro la sua dolcezza e freschezza si nasconde una molteplicità di pratiche agronomiche meticolose e specifiche. Nonostante sia una delle colture estive protagoniste della tradizione agricola italiana, il melone richiede attenzioni specifiche per crescere al meglio. Le tecniche di coltivazione e le operazioni colturali essenziali giocano un ruolo cruciale nel garantire una produzione di meloni di alta qualità. La combinazione di tradizione e innovazione nelle pratiche agronomiche può fare la differenza nella resa e nella bontà di questa preziosa cucurbitacea. Scoprire il mondo affascinante della coltivazione del melone permette di apprezzare tutti i segreti che rendono questo frutto un orgoglio del made in Italy. Quali sono, dunque, le pratiche agronomiche essenziali per assicurare la migliore crescita e qualità del melone?
Le pratiche agronomiche essenziali per la coltivazione del melone
Il melone può essere seminato direttamente in pieno campo o in semenzaio, a seconda delle condizioni pedoclimatiche locali. In climi caldi, è possibile effettuare la semina diretta, mentre in condizioni climatiche incerte o per anticipare il periodo di produzione, è preferibile ricorrere al trapianto così da evitare che un ritorno di basse temperature possa danneggiare le piantine appena germinate.
Semina e trapianto
Nel caso della semina diretta in pieno campo, questa avviene tra aprile e maggio. I semi di melone vengono messi direttamente a dimora in postarelle con 3-4 semi ciascuna, e dopo la germinazione si diradano lasciando solo le due piantine migliori. In semenzaio, invece, la semina avviene tra marzo e aprile, trapiantando a fine aprile quando le temperature sono stabilmente temperate e le giornate si fanno calde e soleggiate. In genere, il melone è una coltura che soffre in maniera significativa lo stress da trapianto. Per ridurlo, è importante trapiantare quando le temperature sono stabili. Inoltre, è bene intervenire accelerando la radicazione e l’attecchimento della pianta attraverso una buona irrigazione e trattamenti con prodotti a base di microrganismi quali micorrize e/o Pseudomonas oppure prodotti sintetici a base di NAA (Acido alfa naftilacetico) e/o NAD (Amide dell’acido naftilacetico) e GA3 (Acido gibberellico).
Cimatura
Durante la crescita delle piante di melone, una pratica comune è la cimatura. Questa tecnica colturale serve per anticipare la produzione e ottenere frutti di maggiore pezzatura. Per raggiungere risultati soddisfacenti, la cimatura deve essere effettuata tre volte:
- quando la pianta ha 4 foglie, asportando l’apice subito dopo la seconda foglia, in modo tale che dall’ascella delle 2 foglie rimaste nascano nuovi germogli;
- quando dai nuovi germogli nati dopo la cimatura si ha l’emissione della quinta foglia, asportando l’apice successivo ad essa;
- in seguito alle due cimature e dopo che sono allegati i primi frutti, eseguendo il taglio dello stelo subito dopo la prima foglia cresciuta dopo il primo frutto.
L’operazione colturale, così effettuata, assicura con molta probabilità la produzione di 4-6 frutti per pianta. La cimatura, infatti, permette di aumentare la quantità di fiori femminili – in genere in numero inferiore rispetto a quelli maschili – e ottenere una produzione precoce e con ridotta scalarità di maturazione. Quando non si ha disponibilità di manodopera esperta la cimatura si può simulare con l’utilizzo di fitoregolatori quali auxine (NAA + NAD) che, se impiegate con criterio e precisione, possono garantire un risultato molto simile a quello della cimatura manuale.
Impollinazione
Essendo il melone una pianta monoica, è necessario l’impiego di insetti impollinatori: api per la produzione in pieno campo e bombi per serre o coltivazioni protette. I fiori del melone infatti sono nascosti e riparati da un folto manto di foglie che impedisce l’azione del vento, rendendo indispensabili questi insetti per lo spostamento del polline dai fiori maschili a quelli femminili.
Irrigazione
Il melone, essendo una coltura a ciclo primaverile-estivo con elevato fabbisogno irriguo, necessita di irrigazioni continue, in particolar modo nel periodo che va dall’ingrossamento dei frutti fino all’invaiatura, quando si sospendono al fine di evitare possibili spaccature. La scelta più indicata è l’irrigazione a goccia, mentre è sconsigliata quella per aspersione. L’irrigazione è un’operazione colturale che va effettuata in relazione all’andamento climatico: eccessi idrici, infatti, possono essere dannosi soprattutto in concomitanza con abbassamenti termici che possono favorire una maggiore suscettibilità delle piante ad attacchi fungini.
Nutrizione
In termini di nutrizione, il melone è una pianta che richiede alti contenuti di potassio. Accanto a questo, non devono tuttavia mancare micronutrienti quali il calcio, il magnesio, lo zolfo e il molibdeno che rendono i frutti ricchi di enzimi, vitamine e amminoacidi solforati nonché carotenoidi utili per la salute umana.
Pacciamatura
Essenziale per il melone è poi la pacciamatura, poiché permette di raggiungere una temperatura del terreno ottimale, evitando abbassamenti termici notturni che potrebbero rivelarsi dannosi per le radici della coltura altamente sensibili al freddo. Inoltre, la pacciamatura permette di preservare un’ottimale umidità del terreno evitando fenomeni evaporativi e di ridurre lo sviluppo della flora infestante. Accanto a questo, la pacciamatura svolge inoltre un’azione preventiva nei confronti degli elateridi, scoraggiando i coleotteri adulti a deporre le uova nel terreno dell’orto. In ultimo, grazie a questo apprestamento protettivo, si ottiene una maggiore pulizia dei frutti che si sviluppano a contatto con il suolo.
Il ricorso alla coltivazione verticale
Per combattere la stagionalità e ottenere risultati più performanti, la coltivazione verticale (in inglese Vertical farming), soprattutto se associata al fuori suolo, è una soluzione sempre più adottata. Questa scelta colturale, pur comportando maggiori costi di investimento sia nel sistema di coltivazione che nella tecnica, e un più elevato impiego di manodopera, permette di ottenere rese raddoppiate rispetto al sistema tradizionale, passando da 7-8mila a 18mila piante per ettaro. Tuttavia, per adottare questo sistema di produzione, è indispensabile avere buone competenze agronomiche, soprattutto in merito a potatura e fertirrigazione. La coltivazione verticale permette inoltre di ottenere una migliore qualità organolettica dei frutti, che raggiungono gradazioni zuccherine superiori di circa 0,5-1 °Brix rispetto alla media. Un altro vantaggio di questa tecnica riguarda la raccolta: grazie al Vertical farming, la maturazione di tutti i frutti avviene in circa 4-6 settimane, traducendosi in due flussi di raccolta di circa 2 settimane ciascuno. Questo produce frutti più uniformi e privi della decolorazione della parte di epicarpo dovuta al contatto con il suolo, tipica della coltivazione tradizionale. L’unico inconveniente della coltura in verticale può essere la leggera ovalizzazione dei frutti che si manifesta quando superano 1,5-1,7 kg di peso.
In conclusione, la coltivazione del melone, simbolo di eccellenza del made in Italy, non è solo una tradizione agricola, ma una scienza che richiede conoscenze specifiche e un impegno costante. Dalla semina alla raccolta, passando per pratiche agronomiche avanzate come la cimatura e l’irrigazione mirata, ogni fase è cruciale per ottenere frutti di alta qualità. L’adozione di tecniche innovative come la coltivazione verticale dimostra come la combinazione di tradizione e innovazione possa portare a risultati straordinari, sia in termini di resa che di qualità organolettica. Investire nelle competenze agronomiche e nelle tecnologie più avanzate non è solo una scelta saggia, ma una necessità per garantire una produzione sostenibile e di alta qualità. Solo attraverso un’approfondita conoscenza e una gestione attenta è possibile mantenere e valorizzare l’eccellenza della produzione ortofrutticola italiana, rendendo giustizia al prestigio del melone come frutto simbolo del nostro territorio.
A cura di: Francesco Bonarota
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