Analisi del suolo: le caratteristiche chimiche

Dopo aver approfondito l'interpretazione dell'analisi del suolo, l'agronomo Gianni Manca esamina le caratteristiche chimiche del terreno

da uvadatavoladmin
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Dopo aver approfondito importanza e interpretazione dell’analisi del suolo, l’agronomo Gianni Manca esamina le caratteristiche chimiche del terreno. Queste includono pH, calcare attivo, salinità, sostanza organica, elementi nutritivi e rapporto C/N e, insieme agli aspetti chimico-fisici, permettono una migliore analisi del suolo. 

Caratteristiche chimiche: il pH

In generale il pH è la concentrazione di ioni H+ presenti nella soluzione circolante (fase liquida) del terreno. Questa concentrazione, a sua volta, dipende dalla natura del terreno, perché la soluzione circolante interagisce continuamente con i componenti della fase solida. In funzione della concentrazione di ioni H+, il valore di pH incide sulla solubilità e disponibilità degli elementi, interferendo sulla loro assimilazione.
Nel caso del fosforo, per esempio, la sua disponibilità è altamente influenzata dai valori di pH. Quando questo è molto basso (acido), il fosforo si trova legato con il ferro e l’alluminio sotto forma di fosfati solubili. A livelli di pH elevati (alcalino), invece, il fosforo lega con il calcio formando fosfato di calcio. Questo – essendo molto poco solubile – precipita, rendendo gli ioni fosforo e calcio indisponibili per la pianta. A valori di pH neutro, ovvero nell’intervallo tra 6,5 e 7,5, la presenza dei fosfati si considera in equilibrio.
Conoscere il pH del terreno, quindi, consente di scegliere la miglior strategia di concimazione. Nei terreni alcalini, per esempio, si tende a utilizzare concimi a reazione acida come i solfati per favorire l’abbassamento del pH e la disponibilità degli elementi nutritivi.

L’assorbimento degli elementi ai diversi valori di pH

Calcare attivo
Con il termine calcare si intende una roccia sedimentaria presente nel terreno e composta da carbonato di calcio. Il contenuto di calcare nel terreno è molto variabile e, quando limitato, è da considerarsi positivo perché esplica una buona funzione nutritiva per le piante. Il calcare si può trovare nel terreno o come crostone calcareo, tipico nei terreni del Mezzogiorno, o sotto forma di particelle molto piccole con diametro inferiore ai 2 mm. Le particelle di calcare così piccole sono quelle più facilmente solubili e che influiscono maggiormente sul pH del terreno, perché – liberando ioni OH– – lo portano a valori alcalini. Questo meccanismo fa sì che l’insieme di particelle < 2 mm prenda il nome di calcare attivo. Il calcare attivo, a sua volta, è parte del calcare totale, per cui lo si trova nel terreno in percentuali inferiori o uguali a quelle del calcare totale. Solitamente elevati valori di calcare attivo, oltre il 4-6%, non sono ben tollerati dalle piante. Per questo, nelle condizioni in cui la percentuale è molto alta, è necessario scegliere con cura la specie da coltivare o portainnesti resistenti al calcare.

Salinità

La salinità è il valore che indica la presenza nel terreno di sali solubili, i quali liberano ioni di calcio, magnesio, potassio e sodio. Quest’ultimo a basse concentrazioni è addirittura indispensabile, ma generalmente rappresenta un problema sia perché tossico per le piante sia perché peggiora le caratteristiche fisiche del terreno. In generale, quindi, la presenza di sali solubili nel terreno è fondamentale per la vita di una pianta, ma elevate concentrazioni saline possono creare squilibri, tossicità e variazioni indesiderate del pH. Va inoltre ricordato che, a un aumento della salinità della soluzione circolante nel terreno, corrisponde un aumento della pressione osmotica della soluzione circolante stessa, riducendo la disponibilità di acqua per le piante. Di fatto, esistono specie di piante più o meno resistenti alla salinità, anche se per ognuna esiste un livello di salinità massima accettabile.
Analizzare e rilevare il valore di salinità del suolo è quindi fondamentale, così come è bene sapere qual è il sale responsabile nel caso si registri un elevato valore di salinità. Per esempio, nel caso in cui si registri un’elevata concentrazione di sodio, è facile che, oltre a riscontrare problemi di fitotossicità, gli altri elementi suoi antagonisti – come calcio, magnesio e potassio – siano difficilmente disponibili per la coltura. In questo caso, si dovranno somministrare gli elementi nutritivi più carenti al fine di sostituire l’elemento tossico e ripristinare un certo equilibrio. Anche le operazioni agronomiche dovranno tenere conto della maggiore o minore salinità del terreno. Da tali condizioni deriva la necessità di prestare particolare attenzione alla scelta dei concimi – soprattutto per quei terreni poco lisciviati e per le colture protette – alle irrigazioni, agli apporti di sostanza organica e, nel caso di terreni sodici, alle distribuzioni di gesso.

Analisi del suolo: la sostanza organica

Quando si parla di frazione organica del terreno, questa rappresenta solitamente l’1-3% della componente solida, mentre il 12-13% in termini di volume. Questo significa che la frazione organica non è importante solo da un punto di vista di fertilità del terreno, ma anche strutturale. La funzione nutrizionale della frazione organica è correlata sia alla mineralizzazione della sostanza organica, che alle sue proprietà colloidali. Nello specifico, la mineralizzazione consiste in decomposizione e rilascio nel terreno di elementi come l’azoto, mentre la proprietà colloidale si riferisce alla capacità della sostanza organica di trattenere sulla sua superficie gli elementi nutritivi. Per quanto riguarda la funzione strutturale, invece, essa considera la capacità della sostanza organica di legare le argille e formare con queste degli aggregati umo-argillosi, che migliorano la stabilità strutturale. A questo, poi, si aggiunge anche una buona capacità di ritenzione idrica, che risulta migliorativa soprattutto per i terreni sabbiosi.
Considerati i benefici derivanti dalla presenza di sostanza organica nel terreno, in quei terreni più poveri risultano dunque favorevoli apporti esterni ulteriori rispetto a quelli che derivano dalla coltura in atto, come residui di potatura e foglie. Al tempo stesso, però, è sbagliato aumentare il contenuto di sostanza organica in maniera smisurata. Nel caso dei kiwi, per esempio, elevati livelli di sostanza organica possono provocare problemi nella tenuta del frutto in post raccolta.

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Azoto

Spesso l’azoto è indicato come il principale responsabile della fertilità del terreno. A fronte di questa considerazione, negli ultimi anni si è fatto un uso sconsiderato ed eccessivo di questo elemento tale da generare conseguenze negative sia per le colture, che per l’ambiente. È importante considerare anche che qualsiasi materiale organico fornito al terreno vada incontro a mineralizzazione rilasciando azoto. Conoscere la dotazione di azoto nel terreno, le conseguenze alle pratiche agronomiche effettuate, la propria coltura e l’obiettivo che si intende perseguire è dunque fondamentale per capire come e quali input fornire, evitando squilibri nutrizionali. In generale, quando si parla di terreni con una buona dotazione azotata ci si riferisce a quelli con valori di azoto compresi tra 1.000 e 1.500 mg/kg.

Fosforo

Essendo il fosforo uno degli elementi più importanti per il metabolismo della pianta, esso viene classificato come macroelemento. Considerato che il fosforo nel terreno è poco solubile, poco mobile e poco disponibile per le piante, può essere necessario integrare la dotazione mediante fertilizzazioni. A riprova della scarsa solubilità del fosforo la sua tendenza a farsi influenzare dai valori di pH: a pH 7, per esempio, lo si trova perlopiù sotto forma di fosfati di calcio, che lo rendono non disponibile per le piante. A valore di pH 6, invece, si trova in forma stabile e disponibile sotto forma di fosfati di ferro e di alluminio. In ogni caso, a prescindere dalla maggiore o minore solubilità, il fosforo è un elemento scarsamente mobile. Per questo, in caso di fertilizzazioni, è bene che queste interessino soprattutto il profilo di terreno che ospita la coltura: gli apporti dovranno essere fatti prima delle lavorazioni invernali o come fertirrigazione durante il ciclo produttivo. Sebbene tutti gli apporti esterni debbano essere necessariamente misurati ed equilibrati, è importante sottolineare che un eccessivo incremento della presenza di fosforo nel terreno non è tanto pericoloso per la coltura quanto lo è un eccesso di azoto. Non a caso, un terreno si definisce ben dotato di fosforo se lo contiene entro valori compresi tra i 20 e i 40 mg/kg – valori nettamente inferiori rispetto a quelli di altri elementi come appunto l’azoto.

Cationi

La presenza dei cationi Ca2+, Mg2+, K+ e Na+ nel terreno è correlata a una buona struttura fisica e a una buona dotazione di sostanza organica, perché entrambe conferiscono al terreno la capacità di trattenere questi elementi. Tale capacità, a sua volta, è dovuta al fatto che le particelle costituenti il suolo sono cariche negativamente, per cui attraggono e trattengono quelle con carica positiva. Le particelle con carica positiva sono dette disponibili quando si trovano in forma facilmente solubile e disponibile per l’assimilazione da parte delle piante.
Tra gli elementi prima citati, il potassio è l’elemento più importante da somministrare perché solitamente necessario alle colture in quantità più elevate. Per quanto riguarda il magnesio e il calcio, invece, la quantità necessaria viene calcolata in base alla dotazione di potassio, affinché siano bilanciati i rapporti tra gli elementi. Molto spesso, però, la dotazione di calcio e magnesio nelle acque di irrigazione è sufficiente ad assicurare un buon apporto alle colture. Nello specifico, e solo per quanto riguarda il calcio, la quantità di questo elemento presente nei terreni non acidi è sufficiente ai fabbisogni della coltura e viene quindi reintegrato solo in quelle fasi fenologiche, come l’ingrossamento del frutto, più sensibili e che più richiedono una buona dotazione di questo elemento.

Microelementi

Vengono definiti microelementi gli elementi coinvolti in misura inferiore nel metabolismo della pianta, ma che non per questo sono meno importanti rispetto ai macroelementi. Nella categoria dei microelementi rientrano il ferro, il manganese, lo zinco, il rame, il boro e il molibdeno. Tra questi il ferro è l’elemento che presenta più spesso problemi di carenza, dovuta alla sua indisponibilità a pH alcalini. A questi valori di pH, inoltre, un po’ tutti i microelementi hanno difficoltà a solubilizzare, rendendone difficile la disponibilità per le colture. Conoscere il pH è fondamentale perché se un terreno è ben fornito di microelementi, ma il pH è alto, è necessario acidificare per rendere disponibili gli elementi. A riguardo, sono utili le somministrazioni di sostanza organica che esercita una certa influenza sul pH acidificando.

Relazione di interesse C/N

Il rapporto C/N è il rapporto percentuale tra il contenuto di carbonio organico e il contenuto di azoto organico. Tale rapporto consente di conoscere il grado di disponibilità di azoto per le piante e il grado di umificazione della sostanza organica. Se il risultato del rapporto C/N del suolo si attesta in un range di valori compreso tra 10 e 15, vuol dire che c’è una buona disponibilità di azoto e un buon grado di umificazione della sostanza organica. Diversamente, valori inferiori a quelli ottimali indicano uno squilibrio dovuto a una scarsa presenza di sostanza organica, mentre valori superiori indicano che la causa dello squilibrio è l’insufficiente disponibilità di azoto.

Conclusioni

In definitiva, appare dunque evidente il ruolo centrale giocato dalle analisi del terreno per l’agricoltura contemporanea. Un’agricoltura che, chiamata a far fronte a sfide sempre più complesse, può così trovare in questo strumento una bussola capace di orientare le decisioni da prendere in campo, sia in termini di nutrizione vegetale, che di operazioni agronomiche.

 

A cura di: Giovanni Manca
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