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- Basti pensare che l’Istat, ente accentratore delle tendenze di consumo del popolo del Bel Paese, nel 2018 ha inserito nel proprio paniere due tra i frutti esotici più consumati al mondo, avocado e mango, confermando statisticamente la tendenza che tutti gli operatori di settore conoscevano da diversi anni: la presenza costante sulle tavole degli italiani di prodotti esotici della dieta e della vita quotidiana.
- Coltivare avocado in Italia
- Negli ultimi cinque anni la situazione è cambiata, si sta assistendo ad un incremento moderato delle superfici anche in altre zone del Sud Italia.
- La maggior parte degli impianti con piante e know-how spagnoli sono stati realizzati con sesti d’impianto che oscillano tra i 6-8m tra le file ed i 4-5m sulla fila, quasi sempre senza baula.
- Conclusioni
I cambiamenti degli stili alimentari, l’attrazione dilagante per i super-food, condito dal fascino per tutto ciò che è esotico, ha generato una vera e propria corsa all’oro verde, l’avocado-mania, suscitando il desiderio di coltivare avocado in Italia.
Basti pensare che l’Istat, ente accentratore delle tendenze di consumo del popolo del Bel Paese, nel 2018 ha inserito nel proprio paniere due tra i frutti esotici più consumati al mondo, avocado e mango, confermando statisticamente la tendenza che tutti gli operatori di settore conoscevano da diversi anni: la presenza costante sulle tavole degli italiani di prodotti esotici della dieta e della vita quotidiana.
Il comparto agricolo non è restato indifferente al fascino della coltura e della produzione del prodotto-avocado, solo analizzandone dati e valore commerciale calati sul mercato. Complice il cambiamento climatico, che determinando una rimodulazione della mappa delle coltivazioni, negli ultimi cinque anni ha indotto una vera e propria programmazione di settore per la produzione centrata sulla ecosostenibilità di questo frutto così ricercato.
La specie, originaria del Centro America, è presente in Paesi con climi tropicali dell’Africa e dell’Asia, negli Stati Uniti e in Australia ma anche nei paesi mediterranei con la Spagna principale produttore. Questa diffusione in tutti i continenti ha determinato la suddivisione della specie in tre razze principali con caratteristiche determinate dall’adattamento e dalla relativa selezione naturale alle condizioni di crescita dei diversi areali produttivi.
- La razza messicana ha una maggiore resistenza al freddo ma bassa resistenza alla salinità, possiede una maggiore percentuale di olio e minore percentuale di zucchero, è caratterizzata da una buccia scura, sottile, solitamente liscia con foglie al profumo di anice se schiacciate;
- La razza guatemalteca ha una resistenza media al freddo ed alla salinità con una maggiore percentuale di olio e minore percentuale di zucchero e presenta dei frutti con buccia spessa e spesso rugosa;
- La razza antilliana è caratterizzata dalla bassa resistenza al freddo ma alta resistenza alla salinità, una minore percentuale di olio e maggiore percentuale di zucchero con frutti a buccia verde-giallastra, sottile e liscia.
La peculiarità comune a tutte le razze, da cui derivano alcune delle scelte agronomiche, è la biologia fiorale definita dicogamia protoginica sincronizzata, ovvero ciascun fiore si apre in due momenti: alla prima apertura assume funzione di fiore femminile, successivamente di fiore maschile.
La conoscenza di queste principali caratteristiche, abbinate allo studio ed alla mappatura del territorio individuando le aree pedoclimatiche più idonee, è fondamentale per permettere al produttore il successo della coltura a costi competitivi rispetto a quelli del prodotto importato.
Coltivare avocado in Italia
L’introduzione delle prime piante e la realizzazione dei primi impianti pilota per studiarne l’adattabilità sul territorio è avvenuta negli anni 50’-60’ in Sicilia. Altre esperienze sul coltivare avocado in Italia sono state condotte circa 20 anni fa in Basilicata su una superficie di circa 7 ha, i cui risultati negativi hanno portato ad oggi all’estirpazione di quasi tutte le piante lucane; in Calabria con 20 ha sulla costa jonica di cui la metà sono in piena produzione con una resa di circa 18t/ha e nell’agropontino con circa 14ha.
Le varietà coltivate sono state esclusivamente Hass e Reed con impollinatori Fuerte, Bacon e Zutano e portainnesti spesso sconosciuti; sono stati utilizzati sesti d’impianto generalmente molto larghi, con alberi lasciati crescere anche fino a 20metri di altezza e senza sistemi antibrina o strutture frangivento.
Negli ultimi cinque anni la situazione è cambiata, si sta assistendo ad un incremento moderato delle superfici anche in altre zone del Sud Italia.
La Puglia ha visto incrementare le superfici coltivate ad avocado negli ultimi 2 anni, con un importante investimento nell’arco jonico di circa 40ha e altri 2ha sia nel Salento sia nel Sud barese in un microclima particolare. In Basilicata sono stati impiantati altri 4 ha con sesto 4×6 della varietà Hass con Fuerte come impollinatore. La Calabria ha aumentato il proprio numero di ettari con altri 20 nella piana di Gioia Tauro con sesto di impianto 7×7. La Sicilia è sicuramente la regione che più ha incrementato i suoi numeri raggiungendo circa 300 ha distribuiti tra le province di Catania, Siracusa e Ragusa per la parte orientale, sulla costa tirrenica della provincia di Messina e Palermo e sulla costa occidentale nella provincia di Trapani.
Come in un normale processo di sviluppo tutto il comparto agricolo sta cercando di attrezzarsi per garantire continuità ed affidabilità a questi nuovi investimenti iniziando ad esempio dal settore vivaistico. Uno dei grandi limiti del coltivare avocado in Italia è sia la difficoltà nel reperire le piante a causa della notevole richiesta sia la grande incertezza e confusione di tecnici e produttori sulle scelte varietali e sui portainnesti da adottare. Si sta cercando quindi di imparare da chi è più simile ma assolutamente non uguale a noi per condizioni pedo-climatiche e posizione geografica, ovvero Spagna e Israele: sono questi i Paesi che ad oggi più stanno influendo sulle scelte delle nostre aziende.
La maggior parte degli impianti con piante e know-how spagnoli sono stati realizzati con sesti d’impianto che oscillano tra i 6-8m tra le file ed i 4-5m sulla fila, quasi sempre senza baula.
Gli impollinatori più frequenti sono Bacon e Fuerte, la varietà più diffusa è sicuramente la Hass e l’impianto irriguo è basato sull’utilizzo di gocciolatori o irrigatori a baffo vicino la pianta. I portainnesti da seme più utilizzati sono il Water Hole e il Topa Topa, simili tra di loro, sempre di origine messicana ma con un vigore maggiore del secondo ed una tolleranza minore ai livelli di cloro del primo. Per le piante da portainnesto clonale viene usato principalmente il Duke7 ma anche il Dusa e questo tipo di tecnica viene utilizzata soprattutto in terreno infestati da Phytophthora e per avere una maggiore uniformità dell’impianto con una riduzione dell’alternanza di produzione.
La formazione israeliana invece è orientata verso sesti d’impianto più stretti, che vanno dai 6m tra le file ai 2-3m sulla fila, nell’utilizzo imprescindibile della baula per limitare i fenomeni di ristagno idrico ed asfissia radicale di cui tanto soffre la specie. L’impianto irriguo prevede l’utilizzo di ali gocciolanti che variano per numero, passo e portata in funzione della tessitura del terreno e della disponibilità idrica. Le varietà utilizzate oltre alla consolidata Hass sono Pinkerton, B.L., Reed, Day e come impollinatore viene utilizzata la Ettinger che è comunque una selezione di Fuerte, con portamento eretto e spesso ha anche funzione di frangivento. La specie, infatti, oltre che ad essere molto sensibile al ristagno idrico, è poco tollerante ai venti e soprattutto a quelli provenienti dal mare che trasportano grandi quantità di sale.
Un impianto moderno di avocado, infatti, non dovrebbe prescindere da un impianto climatizzante sopra chioma e una struttura frangivento a intervalli regolari. I portainnesti che vengono utilizzati su terreni pesanti, spesso alcalini e con alte concentrazione di sodio e cloruri sono principalmente Ashdot e Degania, degli ibridi tra razza antilliana x razze guatemalteca; in presenza invece di terreni sciolti e leggeri con acque d’irrigazione di buona qualità si utilizzano i semensali messicani.
Conclusioni
I risultati delle varie esperienze non sono sempre stati soddisfacenti e uniformi, ma sono fondamentali per avere dei dati nel nostro ambiente e per poterli interpretare, consapevoli che l’approccio a una coltura così tecnica e non storicamente presente nei nostri areali non può prescindere da un grande studio di pre-impianto con particolare attenzione all’analisi dell’acqua e del terreno, ai dati meteo in particolare umidità relativa e basse temperature. Fondamentale sarà il ruolo dell’Università, come già sta avvenendo in Sicilia, che dovrà accompagnare tutto il settore alla conoscenza per affrontare le diverse problematiche che ogni giorno sorgono.
A cura di: Stefano Marullo
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