Fragole: patogeni e corretta gestione della coltura

da Redazione FruitJournal.com

Problematiche di impianto, tecniche di gestione e controllo delle patologie: a parlarne la ricercatrice Crescenza Dongiovanni – responsabile del Centro di Saggio e Protezione Integrata (CRSFA) “Basile-Caramia” di Locorotondo (Ba) – nel corso del webinar dal titolo: “La bioprotezione per la fragolicoltura dei prossimi anni”.

Nell’incontro online, organizzato dalla Libera Associazione Mediterranea Tecnici in Agricoltura (L.A.Me.T.A.), la studiosa ha affrontato il tema relativo a gestione e controllo delle principali patologie che colpiscono la fragola, offrendo così una panoramica completa dei patogeni che colpiscono la coltura e delle modalità dintervento a disposizione dei fragolicoltori.


Riportiamo di seguito la prima parte dell’intervento.

La gestione della fragola è piuttosto complicata, perché deve tener conto di numerosi aspetti. Primo fra tutti: la provenienza del materiale vivaistico. Questo perchè, se in passato era più diffuso l’uso di piante frigoconservate, negli ultimi anni si sono preferite le piantine fresche, sia a radice nuda che cime radicate. Un passo che potrebbe già avere delle ripercussioni sulla tolleranza o suscettibilità a diverse patologie. Studi recenti hanno evidenziato, infatti, che le piante fresche – rispetto a quelle frigoconservate – sono più tolleranti a molti patogeni terricoli. Probabilmente perchè le piante fresche, avendo le radichette appena formate, hanno meno possibilità di trasportare patogeni rispetto alle piante frigoconservate.
L’introduzione di questo nuovo materiale vivaistico ha comportato un radicale cambiamento nell’impostazione della difesa. Con le piante frigoconservate, infatti, la raccolta era notevolmente posticipata e si verificava principalmente nel periodo compreso fra marzo e la prima parte di giugno, tanto che le piante di fragola erano considerate tipiche del periodo primaverile. Attualmente, l’utilizzo delle piante fresche ha determinato un anticipo notevole delle operazioni di raccolta, al punto che le prime fragole le troviamo sul mercato già nei mesi di gennaio e febbraio.

Tecnica colturale
Un ruolo importante è giocato dalla tecnica colturale. Le fragole possono essere coltivate sia in pieno campo (si tratta indubbiamente di un metodo poco diffuso), che in serre sotto tunnel. La scelta dell’uno o dell’altro ambiente comporta condizioni microclimatiche differenti e una diversa gestione fitosanitaria.

Difesa
Essendo la fragola una coltura a ciclo vegetativo lungo, anche la difesa richiede un’azione prolungata nel tempo. A tal proposito, una delle principali difficoltà è legata proprio al notevole ampliamento dell’epoca di raccolta, che inevitabilmente, nel periodo dell’invaiatura, porta nella pianta la presenza contemporaneamente sia di fiori che di frutti acerbi. La gestione si complica ulteriormente al momento della maturazione, che coincide con il periodo di massima suscettibilità della coltura nei confronti di determinate avversità parassitarie. Diviene, infatti, necessario effettuare le applicazioni, ma al tempo stesso favorire il rispetto del numero di residui, per poter assicurare, in ultima battuta, l’ottenimento di prodotti che rispondano adeguatamente alle richieste la Grande Distribuzione Organizzata.
Le avversità che interessano la fragola possono essere distinte in due grossi raggruppamenti. Le avversità telluriche, ovvero i patogeni rintracciabili nel suolo che infettano le radici o il colletto, e le avversità della parte aerea.


Avversità telluriche
 
Per quanto riguardo le avversità telluriche, negli ultimi anni si è assistito a un incremento del deperimento progressivo della fragola. In particolare, ciò che si osserva direttamente in campo è la presenza di piantine con disseccamenti. Questi generalmente partono dalla parte esterna della pianta per poi estendersi anche nelle porzioni più interne, determinando inzialmente un avvizzimento e in seguito un disseccamento completo.
Questa alterazione non è dovuta a un singolo patogeno fungino, ma all’azione di più patogeni come Fusarium o Verticillium, e delle fitoftore come Phytophthora cactorum, Phytophthora fragariae e Rhizoctonia solani, tutti responsabili di alterazioni prevalentemente a carico dell’apparato radicale che poi si ripercuotono sulla chioma. Le piante interessate mostrano uno sviluppo vegetativo irregolare, con frutti di dimensioni più piccole, generalmente acerbi e quindi invendibili.

Negli ultimi anni si sta assistendo anche a un incremento della diffusione di altri patogeni fungini del genere Pythium che provocano l’annerimento completo delle radici. Decisamente problematiche sono, però, due specie: la Macrophomina phaseolina e lo Sclerotium rolfsii, entrambi altamente polifaghi e termotolleranti. Queste mostrano una recrudescenza e una diffusione davvero rapida.

La recrudescenza di questi patogeni terricoli sicuramente è riconducibile a diverse concause. Innanzitutto, la riduzione dei mezzi tecnici nel corso degli anni. In passato, infatti, era frequente il ricorso ai fumiganti, prodotti che gli agricoltori utilizzavano con una certa facilità anche perché avevano un’azione ad ampio spettro ed erano attivi nei confronti di patogeni fungini, infestanti e strutture di conservazione di insetti. Oggi, invece, in seguito alla revoca di alcuni di questi prodotti e delle limitazioni d’uso di altri fumiganti (che possono essere applicati o da personale specializzato o solo con intervalli di 3 anni), non si riesce più a tenere sotto controllo la diffusione delle patologie terricole con la stessa facilità. D’altra parte tutte le sostanze fumiganti utilizzate in passato sono fortemente impattanti. Per questo è necessario cercare soluzioni alternative.

Prima di tutto, è bene ricorrere a materiale certificato, sano e robusto che consenta di ottenere frutti di qualità. Negli ultimi anni si è inoltre diffuso l’impiego della plastica PVC o in polietilene. Questa pratica, se da un lato risulta molto vantaggiosa perché permette di ridurre le infezioni provocate da agenti di marciume (in particolare, muffa grigia), dall’altro va a creare un microclima favorevole allo sviluppo di patogeni termotolleranti.

Sempre di recente, si è notato un significativo ritorno alla pratica del ristoppio, che consiste nel lasciare le piante di fragole per più anni all’interno dello stesso areale. Già dopo il secondo anno, però, si registra un aumento di alterazioni a carico dell’apparato radicale, oltre che a un decremento della fertilità del suolo.

In realtà, per cercare di contenere la diffusione di questi patogeni terricoli che sono in grado di sopravvivere nel terreno per periodi piuttosto lunghi, bisognerebbe adottare delle ampie rotazioni, con specie vegetali non ospiti come graminacee o leguminose. Il ricorso a questa tecnica, però, rischia di essere controproducente dal punto di vista economico, in quanto si tiene il terreno “improduttivo” per periodi piuttosto lunghi.


Solarizzazione
Oggi, però, sono molto più apprezzate e adottate altre tecniche. Ad esempio la solarizzazione, che consiste nel disporre sul terreno un film plastico in polietilene. Dopo un’accurata preparazione del suolo, con eliminazione dei residui di vegetazione della coltura precedente e lavorazione ad una profondità di 30 centimetri per affinarlo, occorre irrigare il terreno, portandolo alla capacità di campo.
Le alte temperature che si registrano nei primi strati del terreno inducono la morte della carica patogena presente, funghi e nematodi, nonché dei semi di infestanti.
La solarizzazione risulta, inoltre, più efficace se effettuata sotto tunnel o in serra, ma soprattutto se associata alla pratica della fertirrigazione, eseguita in subirrigazione. Tutto ciò permette di degradare i fumiganti più rapidamente e, allo stesso tempo, di applicare i prodotti fumiganti in modo localizzato, riducendo così l’impatto ambientale.


Sovescio
Un’altra tecnica che sta assumendo una diffusione crescente è poi la pratica del sovescio che può essere effettuata secondo due modalità:
– piantando graminacee e leguminose, se si vuole incrementare la fertilità del terreno;
– piantando brassicaceae, se si preferisce ridurre i principali parassiti e patogeni tellurici attraverso le sostanze bioattive prodotte da queste specie.
Nell’uno o nell’altro caso, la pratica del sovescio procura comunque diversi vantaggi: miglioramento della struttura del suolo, arricchimento di sostanza organica, maggiore apporto di elementi nutritivi, resi disponibili a favore della coltura successiva.
La pratica del sovescio, se associata alla solarizzazione, permette di incrementare notevolmente l’effetto benefico di quest’ultima.

Infine, decisiva è la preparazione del suolo, in modo da evitare il compattamento del terreno stesso e ridurre l’asfissia radicale. Il tutto per favorire lo sviluppo dell’apparato radicale e, allo stesso tempo, impiegare al meglio l’irrigazione localizzata, al fine di diminuire l’apporto di acqua per sessione e creare così delle condizioni microclimatiche sfavorevoli allo sviluppo di patogeni.

 

Ilaria De Marinis
© fruitjournal.com

 

 

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