Melicoltura italiana: innovazione e futuro

Il professore Walter Guerra del Centro di Sperimentazione Laimburg (Bolzano) illustra novità, numeri e sfide future della melicoltura italiana.

da Redazione FruitJournal.com

Dai flussi di mercato globali, passando per varietà e nuovi portinnesti: il professore Walter Guerra del Centro di Sperimentazione Laimburg (Bolzano) illustra novità, numeri e sfide future della melicoltura italiana.

Con un volume medio annuale di 900mila tonnellate, la melicoltura italiana produce il frutto più esportato dall’Italia. Tuttavia, per vincere le sfide del futuro e ottimizzare l’efficienza del meleto e la qualità dei frutti, sarà fondamentale individuare una combinazione ideale tra portinnesto, varietà, terreno e sistema di allevamento.

Un piccolo numero di Paesi è responsabile di gran parte delle esportazioni mondiali di mele da tavola che ammontano a circa 10 milioni tonnellate, su una produzione globale di oltre 80 milioni. La tabella mostra i primi dieci esportatori di mele fresche per gli anni di calendario tra il 2010 e il 2017.

Pur collocandosi al primo posto in termini assoluti, in termini relativi la Cina esporta una percentuale esigua. Subito dopo la Polonia, troviamo l’Italia che – a eccezione del mercato interno della melicoltura italiana – ha una lunga tradizione nell’esportazione verso la Germania e la Spagna, due Paesi che assorbono il 50% delle esportazioni. Nell’ultimo decennio sono cresciute le esportazioni italiane verso alcuni Paesi dell’Est (per esempio la Russia, che però da alcuni anni è bloccata causa embargo), il vicino Medio Oriente e alcuni Paesi del Nord Africa.

Con un volume medio annuale di 900 mila tonnellate, la mela è attualmente il frutto più esportato dall’Italia. La sfida del futuro è rivolta verso i mercati nord-americani e quelli asiatici più lontani, dove i consumi – a differenza del Vecchio Continente – sono in crescita, sebbene l’export sia tuttora ostacolato da barriere doganali e fitosanitarie.

Assortimento varietale attuale

Indubbiamente la scelta del clone o della varietà è una decisione fondamentale per conseguire il successo economico del meleto per almeno due decenni. A livello globale, a scapito delle migliaia di varietà descritte, il melo è oggetto di una forte concentrazione varietale, e meno di 10 cultivar policlonali coprono circa l’80% del commercio. Il melo resta comunque la specie frutticola in cui la diversificazione varietale è maggiormente percepita dal consumatore, tant’è che oltre alle varietà tradizionali, sui mercati internazionali cercano il loro spazio oltre 60 varietà “club” con un proprio marchio e un’identità che le contraddistingue, con l’intento di creare un plusvalore.

Per quanto riguarda l’assortimento varietale, le cinque cultivar maggiormente diffuse in Europa sono Golden Delicious (22%), Gala (14%), Red Delicious (6%), Idared (5%), Shampion (4%).

Negli anni Quaranta, in Italia erano diffuse ancora oltre un centinaio di varietà di melo, molte di queste di origine autoctona e limitate a zone e mercati locali nella loro diffusione. Le tecniche di conservazione e una prima ondata di intensificazione della coltivazione del melo negli anni Sessanta hanno consentito l’introduzione di cultivar americane, quali Red Delicious, Golden Delicious e Rome Beauty, che si sono affiancate alla cultivar italiana Abbondanza e ad altre varietà locali. Negli anni Ottanta la Golden Delicious ha iniziato la sua scalata verso il primato nazionale della melicoltura italiana; contemporaneamente, la produzione si è spostata sempre di più verso le vallate pedemontane e alpine, dove questa varietà trova condizioni pedoclimatiche ideali.

Nel nuovo millennio è iniziato un processo di diversificazione del mercato che ha portato all’assestamento definitivo della giapponese Fuji e delle oceaniche Gala, Braeburn e Cripps Pink, quest’ultima commercializzata sotto forma di “club” come Pink Lady®. Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a una sostituzione dei vecchi cloni di Gala, Fuji e Red Delicious con le loro mutazioni i cui frutti sono più colorati.

Attualmente in Italia le varietà più coltivate sono Golden Delicious (36%), Gala (17%), Red Delicious (11%), Fuji (8%), Granny Smith (7%), che rappresentano quasi l’80% della produzione nazionale.

Le uniche due vecchie varietà che si trovano ancora nella grande distribuzione sono l’Annurca campana e la Renetta del Canada trentina.

La composizione del paniere varietale si differenzia da regione a regione. Se in Trentino, Golden Delicious rappresenta ancora ben oltre la metà del prodotto, il paniere varietale del contiguo Alto Adige si basa su più varietà: oltre alla Golden Delicious si trovano, infatti, Gala, Red Delicious, Braeburn, Granny Smith, Fuji e altre.
Nell’arco alpino occidentale, il Piemonte ha seguito una sua vocazionalità per mele a buccia rossa: le sole Red Delicious e Gala rappresentano oltre la metà, mentre Golden Delicious ha perso importanza. Nella Pianura Padana (Emilia-Romagna e Veneto), l’assortimento varietale poggia quasi equamente su Fuji, Gala e Cripps Pink/Rosy Glow. Il gruppo di varietà policlonali di Gala è un classico esempio di merce in cui si sta verificando l’ottimizzazione clonale. Negli ultimi anni stiamo affrontando sia un’ulteriore espansione della superficie coltivata a Gala, sia una consistente sostituzione di vecchi frutteti con mutanti che non sono più remunerativi con una nuova generazione di mutanti di Gala con colorazione migliorativa. I prossimi anni saranno caratterizzati da un’importante espansione – si stima all’incirca il 10% del totale – delle superfici coltivate con varietà esclusive (i “club” succitati), una strategia con cui il comparto melicolo italiano cerca di differenziarsi rispetto ai propri competitori.

L’innovazione varietale del futuro

Nel 2020, a livello mondiale, erano attivi oltre 100 programmi di miglioramento genetico del melo. L’innovazione varietale punta in primis alla creazione di varietà più robuste o resistenti. Molto è stato già realizzato in merito alla resistenza alla ticchiolatura, mentre per il futuro attendiamo varietà resistenti a più patogeni e/o parassiti e più adattate al cambiamento climatico.

A livello di qualità estrinseca e intrinseca del frutto, il trend generale sta andando verso frutti a buccia rossa e polpa succosa, croccante e dolce.

Grande risulta, inoltre, l’interesse per le mele a polpa rossa (in futuro pure a polpa gialla intensa), con alto contenuto di polifenoli, un prodotto nuovo, praticamente sconosciuto fino ad oggi per il consumo fresco su larga scala. Da segnalare anche le nuove varietà a pezzatura ridotta, formato snack, per un consumo più moderno e facile.

Esistono poi nuovi ibridi a buccia gialla, cultivar a basso contenuto allergenico o ad alto valore nutraceutico. Forte anche la richiesta di nuove varietà con buona colorazione, adatte alle zone di pianura, a climi caldi e alla presenza di reti antigrandine. Il fabbisogno di freddo invernale del melo non è coperto in certe zone di produzione: in alternativa all’impiego di fitoregolatori con i quali è possibile indurre e/o uniformare il risveglio vegetativo, si propongono nuove varietà a basso fabbisogno di freddo derivate da programmi di miglioramento genetico brasiliani, israeliani o messicani. Tuttavia, produttività e qualità di questi genotipi non raggiungono ancora lo standard a cui siamo abituati.

In generale ci vorrà del tempo prima che tutte queste nuove entusiasmanti varietà di mele arrivino al consumatore, ma sicuramente nel frattempo cambieranno le sue preferenze e abitudini.

Novità anche sul fronte dei portinnesti

Negli anni Sessanta e Settanta, l’impiego di portinnesti a scarsa vigoria ha rapidamente migliorato l’economicità dei meleti.

Attualmente, M9 è il portinnesto per il melo più utilizzato a livello europeo. Le sue caratteristiche principali sono la vigoria ridotta, una buona resa in ceppaia e l’elevata produttività in combinazione con la buona qualità dei frutti. Con le varietà più importanti non si rilevano difficoltà correlate all’affinità. Il portinnesto si adatta bene anche a differenti tipologie di suoli. Negli ultimi anni, però, si sono manifestati problemi di origine biotica e abiotica che ne mostrano alcuni limiti. Data la continua diffusione del “colpo di fuoco batterico”, in ambito melicolo sarebbe interessante poter disporre di portinnesti resistenti a Erwinia amylovora, il batterio responsabile di questa patologia. Soprattutto nei frutteti a coltivazione biologica, si osserva un incremento del grado di attacco dell’afide lanigero, spesso difficile da limitare. Un’altra esigenza della moderna melicoltura è rappresentata dalla tolleranza nei confronti della stanchezza del terreno. Altri punti a sfavore di questo portinnesto sono la scarsa resistenza al freddo e la tendenza alla produzione di abbozzi e polloni radicali.

Il progresso tecnico degli ultimi decenni richiede che un portinnesto alternativo a M9 non solo possieda nuove caratteristiche relativamente alla resistenza nei confronti delle malattie, bensì che tenga in debito conto anche le conoscenze sulla fisiologia acquisite per ogni varietà e la scelta della zona di coltivazione.

In Europa, come a livello mondiale, sono in via di attuazione una decina di programmi di miglioramento genetico finalizzati alla selezione di nuovi portinnesti per il melo. È certo che non si potrà trovare un portinnesto universale in grado di risolvere tutti i problemi. La scelta della combinazione tra varietà e portinnesto dev’essere adeguata alla zona di coltivazione, alle premesse tecniche e alle condizioni agronomiche di produzione. Obiettivo primario dev’essere l’ottenimento di un melo che cresca in modo equilibrato e che produca con regolarità mele della massima qualità.

Per il futuro, la sfida fondamentale sarà l’individuazione di una combinazione ideale tra portinnesto, varietà, terreno e sistema di allevamento, allo scopo di ottimizzare l’efficienza del meleto e la qualità dei frutti.

Solo con prove attentamente programmate e condotte con grande cura in zone differenti si potrà garantire la scelta migliore del portinnesto.

melicoltura italianaQuale futuro?

Anche il mondo del melo e della melicoltura italiana è caratterizzato da cambiamenti repentini, sia che si tratti di nuove varietà, di nuove tecniche, di un diverso comportamento dei consumatori, del cambiamento climatico o delle influenze dell’ambiente o sull’ambiente. Le principali sfide e, allo stesso tempo, le opportunità del decennio in corso sono pertanto temi come cambiamento climatico, digitalizzazione, agricoltura intelligente, sistemi di produzione sostenibili e resilienti, economia circolare, uso efficiente delle risorse, agrobiodiversità, qualità e salute. Il meleto del 2030 sarà diverso e più intelligente. Per approfondire tutte queste tematiche, però, abbiamo bisogno di investimenti crescenti in ricerca e sviluppo. È fondamentale mantenere lo sguardo fisso al futuro, perché le idee di oggi possano divenire il successo di domani. Ci sono segnali evidenti che le maggiori aree melicole in Italia hanno capito questa esigenza di know-how e continuano a sostenere progetti in corso e futuri, consapevoli che l’alternativa all’innovazione e alla ricerca è il fallimento.

 

 

A cura di: Walter Guerra – Centro di Sperimentazione Laimburg (Bolzano)
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