La moria del kiwi continua a destare preoccupazione e si teme per la stagione di raccolta 2020.
Dopo i primi rilevamenti nell’estate del 2012, quando vennero identificate nel veronese le prime piante colpite, il fenomeno della moria del kiwi si è progressivamente intensificato, arrivando a colpire oggi gli areali produttivi della Pianura Padana, del Piemonte, del Lazio, della Calabria e di altre regioni del Sud Italia. Le dimensioni del problema sono quindi preoccupanti e la moria del kiwi ha ormai danneggiato seriamente alcune specifiche zone di produzione. Ad esempio, nel solo Piemonte nel decennio 2010-2019, sono stati persi oltre 1500 ettari, e sono stati estirpati il 25% degli impianti. Nella provincia di Latina, il maggior areale nazionale per la produzione di actinidia, solo quest’anno si contano oltre 3.000 ettari falcidiati dalla moria.
La situazione pare in progressivo peggioramento, tanto che le stime riportano perdite superiori ai 300 milioni di euro, con oltre il 25% della produzione nazionale irreversibilmente colpita. Dati ai quali vanno aggiunte le previsioni, altrettanto allarmanti, che annunciano una seria compromissione del raccolto, nonché un crollo significativo per l’indotto. Come analizzato, infatti, ad oggi la problematica ha comportato una contrazione del 10% degli impianti e la preoccupazione – per molti imprenditori – è che a settembre 2020 la percentuale possa lievitare ulteriormente, facendo terra bruciata nel 50% delle aziende.
Non per ultimo bisogna considerare che gli areali italiani dediti alla coltivazione del kiwi sono insidiati (già dal 1992) dal batterio Pseudomonas syringae pv. actinidiae (Psa). Si tratta del vettore del tanto temuto cancro batterico, uno dei patogeni più dannosi per le piante di Actinidia spp.. Il cancro batterico può provocare danni su tutti gli organi vegetativi e portare alla morte le piante in tempi rapidi.
Dati sulla coltivazione del kiwi in Italia
L’actinidia rappresenta una delle colture economicamente più interessanti all’interno del comparto frutticolo italiano, essendo il nostro Paese il principale esportatore di questo frutto nell’emisfero settentrionale. Seconda solo alla Cina, dal 2000 l’Italia si è infatti insediata stabilmente ai primi posti tra i produttori a livello mondiale e attualmente detiene il primato mondiale per produzione su unità/superficie.
La coltura del kiwi in Italia interessa 22.000 ettari e produce 470.000 tonnellate delle 1,6 milioni di tonnellate prodotte annualmente in tutto il mondo. La cultivar più diffusa è la Hayward, anche se negli ultimi dieci anni c’è stato un incremento per la coltivazione delle varietà a colore giallo. Considerando questi dati, dunque, la moria costituisce un problema assai gravoso anche dal punto di vista economico.
L’assottigliamento della produzione e la maggiore richiesta di frutta da parte dei consumatori italiani durante il lockdown, ha tra l’altro avvantaggiato altre realtà produttive come il Cile. Infatti, dalla settimana 23 alla 26 del 2020 il Paese sudamericano ha aumentato del 28% le spedizioni di questo frutto in Italia.
Moria del kiwi: possibili cause
Purtroppo, ad oggi, i produttori italiani non hanno delle vere e proprie armi per combattere la moria del kiwi visto che la ricerca al momento non conosce con certezza le cause che provocano il problema.
Gli studiosi hanno mostrato come, ad essere maggiormente colpite, siano le radici presenti negli strati più profondi del terreno; mentre quelle cresciute sopra il piano di campagna permettono la sopravvivenza della pianta per al massimo due anni dalla comparsa dei sintomi. A tal proposito, le ipotesi messe in campo dagli esperti del settore sono diverse. Qualcuno attribuisce l’origine a molteplici fattori come la presenza di agenti inquinanti nel terreno e nelle acque, criticità nelle modalità di irrigazione, interventi fitosanitari scorretti, nonché particolari condizioni climatiche.
Si è notato, inoltre, che la moria del kiwi è molto più aggressiva e rapida nei fondi irrigati a scorrimento e quasi sempre i focolai partono dove l’acqua percola nel terreno al termine del ciclo di irrigazione.
I sintomi
A livello vegetativo la sindrome del collasso delle piante si manifesta a partire da giugno-luglio, in corrispondenza della massima attività evapotraspirativa. Al blocco dello sviluppo delle piante, si associa un progressivo disseccamento. Le piante colpite possono anche germogliare e avviare una fioritura nella primavera successiva, ma già nel mese di luglio si può notare un appassimento della chioma, la perdita delle foglie e il mancato sviluppo dei frutti.
Il sintomo più evidente, tuttavia, è correlato alla marcescenza dell’apparato radicale che avviene inizialmente con l’imbrunimento della pagina fogliare inferiore. Il tutto seguito da una decolorazione della chioma che da verde brillante passa a tonalità giallo-brunastre, fino alla perdita delle radici assorbenti e alla completa marcescenza delle macroradici e dell’intero apparato radicale. Nei casi peggiori è possibile assistere al disseccamento e alla moria di interi frutteti nel giro di 3-4 settimane.
Il fenomeno interessa maggiormente gli impianti situati in pianura e colpisce sia le cultivar a polpa verde che quelle a polpa gialla.
L’attenzione deve in ogni caso rivolgersi alle piante che manifestano sintomi come:
– poche foglie su una o più branche con disseccamenti parziali associati a deformazioni del lembo,
– attività vegetativa ridotta,
– sviluppo ritardato dei frutti anche a seguito di buona impollinazione
Moria: nuovi portinnesti tolleranti
Dal fronte tecnologico potrebbero giungere delle buone notizie. Negli ultimi anni, infatti, sono state condotte diverse prove in campo e, nel veronese, sono stati raggiunti i primi risultati positivi grazie, ad esempio, all’introduzione di un nuovo portinnesto tollerante: il Sav1. Questo è dotato di un apparato radicale che si sviluppa verticalmente (fittonante), rendendo il portinnesto particolarmente resistente agli stress idrici e ai ristagni, oltre che adatto a terreni pesanti e argillosi, soggetti a compattamento. Le piante innestate su Sav1 mostrano, inoltre, una buona vigoria. Tuttavia, le diverse prove di Sav1 in Italia non sempre danno il risultato atteso; questo perché risulta molto difficile far attecchire l’innesto, fattore che scoraggia i produttori. Oltre al Sav1, esistono anche altri portinnesti tolleranti alla moria a disposizione dei produttori di kiwi:
– semenzale di Actinidia macrosperma di origine neozelandese (Bounty 71);
– Selezione D1, semenzale di A. deliciosa (di origine italiana);
– Selezione Z1, incrocio tra A. deliciosa e A. arguta.
Inoltre è ancora in fase di valutazione, all’interno del Progetto Kimor (partito nel 2017), lo sviluppo del portinnesto K1.
Contrastare la moria con tecniche agronomiche e agricoltura di precisione
Si è notato che negli appezzamenti in cui si è provveduto ad effettuare un’idonea baulatura e garantire un importante apporto di sostanza organica, le piante stanno fornendo la risposta migliore al problema.
Inoltre, sempre nell’ambito del Progetto Kimor, si sono ottenuti degli ottimi risultati monitorando continuativamente l’umidità del suolo e calcolando il corretto fabbisogno idrico delle piante. Infatti, laddove era presente la baulatura, il suolo è risultato per tutta la stagione irrigua più asciutto, mentre sul piano non baulato, a parità di apporto idrico, si è evidenziato un’eccessiva bagnatura.
I tensiometri hanno infine suggerito il corretto fabbisogno idrico delle piante, consentendo una gestione delle irrigazioni nel modo ottimale.
Conclusioni
A ridosso dell’avvio della stagione di raccolta, ancora tanta è l’incertezza che si avverte. Il timore è quello di avere un’annata con scarse quantità di prodotto. Il dilagare della moria nel Lazio, prima regione produttrice d’Italia, le gelate primaverili e le grandinate estive che quest’estate hanno colpito a macchia di leopardo alcuni importanti areali del Nord, non fanno che aumentare le preoccupazioni per il comparto.
La richiesta avanzata da agricoltori e produttori è oggi quella di maggiori investimenti statali da destinare alla ricerca, perché il nemico è ancora sconosciuto e combatterlo appare una sfida ancora tutta da vincere.
Ilaria De Marinis
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