Produzione olio d’oliva: calo inarrestabile

A testimoniarlo uno studio Nomisma che rileva una produzione di olio d'oliva pari o inferiore alle 300mila tonnellate nel triennio 2020-2022

da uvadatavoladmin
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Calo inarrestabile per la produzione di olio d’oliva: nel triennio 2020-2022, la produzione media è stata inferiore alle 300mila tonnellate.

Condizioni climatiche avverse, frammentazione produttiva, rincari e volatilità dei prezzi: queste alcune delle ragioni alla base del vertiginoso calo produttivo dell’olio d’oliva.

A testimoniarlo uno studio Nomisma presentato in occasione del convegno “Olio di oliva: impresa, sostenibilità, mercati” e delle celebrazione dell’accordo di filiera tra Confagricoltura e Carapelli Firenze siglato nel 2018 per promuovere la produzione e la filiera dell’olio di oliva extravergine italiano.

Produzione olio d’oliva: i dati

Stando a quanto rilevato, nell’ultimo triennio (2020-2022) la produzione media è stata inferiore alle 300mila tonnellate, contro le oltre 500mila del triennio 2010-2012. Un dimezzamento che, in dieci anni, riguarda in primis tre regioni di peso, quali Puglia (-52% 2022 su 2021), Calabria (-42%) e Sicilia (-25%). E un trend che ben si concilia con il dato relativo alla frammentazione produttiva del settore olio che testimonia come su circa 620mila aziende olivicole presenti sul territorio, il 42% non arriva a 2 ettari di Sau, e solo il 2,5% supera i 50 ettari. Si stima, inoltre, che la superficie investita a olio è diminuita del 3,5% dal 2011 al 2021. Non va meglio sul fronte biologico e le DOP, che – per quanto in crescita – rappresentano ancora una nicchia per il sistema olivicolo italiano.

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“Sono cifre che disegnano un’olivicoltura che va considerata più come un fenomeno sociale che un vero settore produttivo” – ha precisato Denis Pantini di Nomisma. “E numeri ancora più preoccupanti emergono dai dati sugli investimenti nei quali l’Italia è fanalino di coda. Tra il 2011 e il 2021 infatti le superfici a oliveto sono aumentate del 41,6% in Cile, del 39,5% in Argentina, del 22,6% in Marocco, dell’11,4% in Turchia, del 10,9% in Portogallo, del 5,4% in Spagna (quindi crescono anche in quello che è già abbondantemente il leader produttivo mondiale), persino dello 0,4% in Francia mentre le superfici a oliveto calano del 3,5% in Italia”.

Si tratta di numeri che trovano conferma anche nelle cifre sul commercio mondiale di olio d’oliva.

“Tra il 2011 e il 2021, l’export della Turchia è aumentato del 16,4%, quello del Portogallo del 14,8%, della Tunisia del 9,8%, del Cile del 9,7%, della Francia dell’8,2%. Rispetto a una media del commercio mondiale cresciuto in dieci anni del 6,2%, l’olio made in Italy è aumentato solo del 3%. In queste condizioni – ha puntualizzato – tra non molti anni l’Italia resterà un player marginale e verrà superata da nuovi e vecchi protagonisti del settore oleario”.

In compenso, gli italiani rimangono i maggiori consumatori di olio, con otto chili di consumo pro-capite. Quattro su dieci lo acquistano nella Grande distribuzione organizzata (Gdo), tre lo comprano direttamente dal produttore. Per quanto riguarda il prezzo, nella distribuzione moderna, la media è di 6,81 euro al Kg, che scende a 4,56 euro per quello comunitario. Si sale a 11,41 euro per le Dop. All’estero l’olio d’oliva Made in Italy gode di ottima reputazione, ma l’export è concentrato soprattutto in Unione Europea e Nord America, con grosse potenzialità in Paesi come Arabia Saudita, Corea del Sud, Messico o Giappone. In particolare, nel 2022, si è registrata una crescita importante sul fronte dei valori +22%, mentre i volumi non sono andati oltre un +5,6%. In termini di competitor, va tuttavia sottolineato che la quota spagnola dell’export doppia quella italiana: 42,4% Vs 21,2% (pari a 1,5 miliardi di euro).

Produzione olio d’oliva: l’importanza di “fare filiera”

Come sottolineato ancora da Pantini, “Nei periodi di forti incertezze come quello attuale, sul quale incidono anche i cambiamenti climatici, “fare filiera” attraverso gli accordi commerciali dà agli olivicoltori una maggiore sicurezza di sbocco di mercato e favorisce un processo di investimento/modernizzazione necessario per tutto il comparto. Ad oggi meno del 3% delle imprese agricole italiane vende attraverso accordi pluriennali con imprese industriali/commerciali. Inoltre – ha concluso – è ancora troppo alta la percentuale di consumatori che ritiene l’olio d’oliva un semplice condimento e non un prodotto-cibo. Una differenza sostanziale che permetterebbe di generare valore per l’intera filiera, grazie alla minor dipendenza delle scelte del consumatore dal solo fattore prezzo”.

La strada da perseguire è ancora lunga, ma – come annunciato nel corso della Tavola Rotonda organizzata da Confagricoltura dal sottosegretario del Masaf Patrizio La Pietra – fondamentale sarà la collaborazione e il confronto costruttivo tra le istituzioni e la filiera oleicolo-olearia italiana. L’obiettivo? Rilanciare un settore strategico e di primaria importanza come quello dell’olio d’oliva made in Italy.

 

Ilaria De Marinis
© fruitjournal.com

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